Abbiamo un’idea astratta e riduttiva della biodiversità, ovvero della ricchezza della vita che abita la Terra. Per molti evoca soltanto bizzarre rane colorate nelle foreste tropicali, orsi polari che nuotano tra i ghiacci o elefanti minacciati dai bracconieri nelle riserve naturali africane. Invece la biodiversità è sempre tra noi, ci circonda continuamente, è fatta si pensa da circa una decina di milioni di specie viventi di cui ne conosciamo con certezza soltanto due milioni, nel senso che le abbiamo classificate e battezzate con la nomenclatura latina e con le analisi genetiche.
Tutto questo brulicare di insetti, pesci, mammiferi, vegetali, funghi, alghe e batteri fa funzionare il mondo e ci permette di esistere. Banalmente senza la fotosintesi clorofilliana non potremmo nutrirci. Da miliardi di anni questo complesso di specie è in evoluzione: tutte mutano, alcune si estinguono, altre emergono, tutte interagiscono tra loro e con l’ambiente. Ci sono state in un passato arcaico cinque grandi estinzioni che hanno pesantemente ridotto le specie sul pianeta senza però azzerarle, e quelle rimaste hanno ripreso il lento cammino evolutivo portando all’attuale condizione, inclusa la comparsa di Homo sapiens circa 300 mila anni fa.
Ora – grazie alla tecnologia e alla medicina – siamo noi ad aver preso il sopravvento: siamo otto miliardi, costruiamo città e autostrade, scaviamo pozzi e miniere, abbattiamo foreste, emettiamo gas serra, produciamo plastica, antiparassitari e altri composti chimici, incluse le scorie nucleari, peschiamo troppo pesce e coltiviamo troppo suolo. Il risultato è l’erosione della biodiversità, nel senso che diminuiamo lo spazio e le risorse disponibili per le altre specie, le avveleniamo e le stressiamo, portandole in molti casi all’estinzione in tempi molto più rapidi di quanto sarebbe capitato per ragioni naturali. E se si estingue soltanto una ranocchia gialla in Costarica non ci sembra importante, ma se si estinguessero le api ci accorgeremmo subito del danno irreparabile. E che dire degli uccelli, che tengono sotto controllo molti insetti? E se perdessimo le sole 150 specie vegetali sulle quali si basa la produzione del nostro cibo?
Per questo sono state istituite delle banche dei semi come lo Svalbard Global Seed Vault, casseforti scavate nella roccia gelata per conservare la ricchezza vegetale minacciata. Ma questi depositi non bastano: se perdiamo gli habitat adatti alle specie, trasformeremo l’ambiente ora in un deserto, ora in una squilibrata accozzaglia di specie opportuniste, quelle che approfittano delle nuove condizioni per diffondersi a scapito di quelle più fragili e utili. Ebbene, è proprio Homo sapiens che ha innescato la sesta estinzione di massa e se non la ferma al più presto rischia di esserne travolto: siamo una specie molto esigente e se facciamo collassare la complessa rete della vita che ci sostiene, rischiamo grosso pure noi. In Italia abbiamo 58 mila specie animali e oltre 6.700 specie di piante: le maltrattiamo sotto il cemento e l’inquinamento, mentre dovremmo rispettarle e accudirle perché sono la nostra assicurazione sul futuro.