Fino a qualche decennio fa, un’espressione come “musei del gusto” era impensabile. L’idea di “museo” richiamava pittura, scultura, architettura, musica, letteratura, cinema – e ovviamente la storia. Tante cose ma non certo il cibo. Oggi invece siamo circondati da musei del vino, dell’olio, del pane, del sale, del prosciutto, del formaggio, della frutta, delle castagne e via dicendo, ed esistono guide (locali, regionali, nazionali) specificamente dedicate ai musei “del gusto”.
Ciò significa che qualcosa di importante è accaduto. È accaduto che la dimensione culturale del cibo e di tutto ciò che gli ruota attorno (attenzioni materiali e mentali, saperi e tecniche, strumenti e simboli) è stata finalmente recepita nella coscienza collettiva. Sempre più spesso le parole cibo e cultura sono associate, e non perché – attenzione – al cibo si affianchi la cultura ma perché il cibo è cultura, in tutte le fasi che ne scandiscono il percorso, dal reperimento delle risorse alle forme di produzione, dai modi di preparazione e trasformazione ai sistemi di conservazione, fino al momento finale del consumo, quando il cibo scivola dentro il corpo dell’uomo, materia arricchita dei valori di cui l’uomo stesso, nel frattempo, l’ha caricata.
Dalla terra alla tavola, questo percorso è denso di contenuti e di significati che richiamano l’intero patrimonio culturale di una società. Di questo oggi siamo più consapevoli, con la scoperta, per qualcuno forse imprevista, che le ragioni del corpo portano con sé anche quelle dello spirito, poiché non esistono cose senza valori, né valori senza cose. Non per nulla l’Unesco ha riconosciuto la dieta mediterranea come patrimonio “immateriale” dell’umanità – non quindi come un paniere di prodotti, ma come un modo di vivere, fatto di conoscenze e di pratiche sociali.
I “musei del gusto”, sempre più numerosi nel nostro paese, sono il segno di un’attenzione e di una domanda nuova, di un turismo che non si accontenta più del monumento famoso o della grande collezione d’arte, ma vuole capire il senso di un territorio, dei rapporti profondi (ma delicati, e sempre a rischio) che ogni società ha saputo intrattenere con l’ambiente in cui è cresciuta. Questi musei testimoniano la cultura del lavoro che storicamente ha sostenuto le necessità quotidiane dell’uomo e i piaceri che a queste necessità si sono accompagnati. L’immagine che ne esce è quella di un patrimonio culturale diffuso capillarmente sul territorio, secondo un modello tipico della cultura italiana. Esattamente come il nostro patrimonio artistico, anche quello gastronomico si caratterizza per l’assenza di luoghi egemoni e di vere “capitali”: è un patrimonio sparso, che testimonia la ricchezza e la profondità di una cultura.
marzo 2016