Il consumo non è mai solo la soddisfazione passiva di un bisogno: è una modalità attiva di rapporto con il mondo in cui viviamo. L’assioma è ancora più convincente se si parla di cibo, considerato il notevole impatto sull’ecosistema ambientale e sociale provocato dalle nostre scelte alimentari. Il cibo è infatti il risultato di una catena di processi che si susseguono lungo tutta la filiera agroalimentare, di cui i consumatori sono spesso solo parzialmente consapevoli. Un pomodoro non è solo un pomodoro: è il luogo dove è stato coltivato, il suolo dove è cresciuto, l’acqua che lo ha bagnato, il fertilizzante che lo ha raggiunto, la mano che l’ha raccolto, l’azienda che lo ha conservato. Perché il cibo non è solo cibo: è vita, è nutrimento, è veicolo di valori, cultura, identità e socialità. È il dove, è il quanto, è il come, è il perché. Mangiare è un atto che esige coscienza.
Le conseguenze della stratificazione di modelli di produzione insostenibile e di consumo inconsapevole sono oggi pienamente evidenti nell’emergenza climatica e sociale. L’ultimo rapporto del Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico ha dimostrato quanto profondamente i nostri stili di vita e i nostri modelli economici abbiano contribuito a provocare gli eventi climatici estremi che colpiscono noi e l’ambiente; e ci ha ripetuto che non c’è tempo da perdere, rievocando il cardine dell’Agenda 2030: tutto è inscindibilmente connesso e il cambiamento presuppone la necessità di riannodare i legami tra le dimensioni danneggiate dai nostri errori.
È chiaro a tutti che la più grande sfida del nostro tempo è preservare il pianeta, nutrendoci in modo sano e avendo cura dell’intero ecosistema che ci accoglie, ma non lo è altrettanto che possiamo superarla utilizzando una risorsa che è da millenni nelle nostre mani: la Dieta Mediterranea, un vero e proprio modello di rigenerazione ecologica integrale, capace di riunire in sé la dimensione politica, ambientale, umana, culturale, economica e sociale. Dichiarandola patrimonio immateriale dell’umanità, l’Unesco ha ufficializzato una realtà già contenuta nella parola dieta (dal greco díaita: modo di vivere): non un elenco di alimenti, ma un insieme di saperi traducibile in un paradigma di sviluppo sostenibile e inclusivo che non abbia come suo principale fine il profitto, ma l’incontro virtuoso tra territorio e persone.
Adottare lo stile di vita Dieta Mediterranea significa diffondere prosperità; riportare sulle nostre tavole prodotti a basso impatto ambientale; nutrirsi in modo sano, riducendo la spesa sanitaria nazionale; valorizzare i produttori locali, tutelando i loro saperi e la nostra identità; connettere culture, unendole nel convivio. Significa rimettere al centro il concetto di cura per la salute, per l’ecosistema e la tutela della biodiversità, cura per la comunità nella relazione che nasce col convivio e che vuol dire rimettere al centro la vita: se nuovi bisogni richiedono sempre nuovi beni, è questa che dobbiamo rivendicare, oggi più che mai.
L’effetto domino provocato dalle scelte alimentari rende ogni consumatore un significativo agente di cambiamento: ciò impone agli operatori del settore di comunicare il tema ecologico in modo sempre inclusivo, e a tutti noi di aprirci a una visione del mondo sistemica. Di certo, in quanto principio esplicativo che riconduce in sé le complesse dinamiche della sostenibilità e modello di sviluppo che integra, rigenerandola, ogni dimensione della nostra realtà, la Dieta Mediterranea facilita questo processo di consapevolezza. Perché tutti noi mediterranei possiamo chiaramente distinguere la trama che la compone, gli innumerevoli fili che legano il nostro benessere a quello del mondo che ci accoglie.