«Noi non ci invitiamo l’un l’altro per mangiare e bere semplicemente, ma per mangiare e bere insieme». Questo fa dire Plutarco a un personaggio delle sue “Dispute conviviali”. Mangiare da soli, a distanza, come siamo stati costretti a fare nei lunghi mesi della pandemia, è innaturale. Ecco perché abbiamo sofferto, anche se magari abbiamo mangiato bene.
Mangiare è una necessità. Il cibo è il nostro carburante ed è la fame ad avvertirci: attenzione, il motore è in riserva. Per questo, agli inizi della tragedia da cui stiamo appena uscendo, lunghe file di carrelli assediavano i supermercati. Paura (ingiustificata) di non averne abbastanza.
Ma nell’atto di mangiare si innescano subito altre motivazioni, altre suggestioni. Tanto per cominciare, il piacere. Mangiare dà soddisfazione e gli uomini hanno sempre cercato di farlo bene, inventando l’arte della cucina che più di ogni altra cosa ci distingue dagli altri animali. Poi, si mangia per stare bene. Il rapporto fra cibo e salute è sempre stato al centro della riflessione dietetica, e la stessa dietetica è diventata gastronomia, dettando regole utili al benessere e al piacere (i medici del Medioevo addirittura sostenevano che «ciò che piace fa bene»). Infine, si mangia per comunicare. Il cibo è strumento di relazione per eccellenza. La condivisione del cibo e la ritualità della tavola sono sempre state, in ogni società, il cuore del vivere civile, che anzitutto significa fare le cose insieme: non per nulla Aristotele definì l’uomo “animale sociale”. Il “convivio” (dal latino cum-vivere) si chiama così perché il cibo è la vita, e mangiare insieme è il modo più intenso e significativo di vivere insieme.
In questi mesi abbiamo assistito a nuove curiose esperienze: mangiare a distanza ma insieme, condividendo sul computer o sul cellulare i piatti degli altri e, soprattutto, i loro visi e le loro parole. Nulla più di queste invenzioni, rese possibili dalla tecnologia, ha mostrato che cosa significa mangiare. I “bisogni” non sono solamente nutrizionali. Il piacere è un bisogno. La salute è un bisogno. La relazione con gli altri è un bisogno. Fra i gesti quotidiani, mangiare è in assoluto il più individuale, giacché il cibo entra in me, nel mio corpo. Ma al tempo stesso, paradossalmente, mangiare è il gesto in assoluto più collettivo, più sociale. Termine, quest’ultimo, che in questi mesi è stato usato (secondo me) in modo inappropriato. Si è parlato di “distanziamento sociale”: a uno storico, l’espressione fa venire in mente la cultura dei secoli andati, quando il modo di mangiare, e ogni gesto quotidiano, serviva a ribadire la differenza e, appunto, la distanza fra le classi. Il nostro distanziamento non è stato “sociale”, ma semplicemente fisico. Noi abbiamo continuato a condividere aperitivi, pranzi, cene, spuntini. Proprio come diceva il personaggio di Plutarco: gli uomini non mangiano e non bevono semplicemente per mangiare e bere…