Se non hai a che fare quotidianamente con figli in età scolare – elementari e/o superiori – può benissimo essere che tu non te ne accorga mai, se non quando eventi particolarmente incresciosi o addirittura efferati raggiungono l’onore – l’orrore – delle cronache e allora il tema ti viene sbattuto in faccia con tutta la sua forza scandalosa e dirompente: parlo della violenza giovanile. Atti feroci e gratuiti di bullismo perpetrati da maschi contro femmine, da femmine contro maschi; il genere non è infatti, come si potrebbe credere, la discriminante (anche se le femmine sono più spesso vittime che carnefici): ragazzine e ragazzini, talvolta ancora bambini che, in gruppo, si fanno forti contro altri più deboli: quelli considerati “diversi”. Colore della pelle, provenienza geografica, classe sociale, genere, caratteristiche somatiche, comportamenti, gusti. Qualunque pretesto possa scatenare una violenza di gruppo che passa dalle velate minacce, al cyberbullismo, fino ad arrivare a concrete aggressioni fisiche.
Tra tante vicende di cronaca, ne ricordo una per l’atroce “banalità del male”: a Manduria, Taranto, un pensionato di mezza età è stato bullizzato – deriso, umiliato, aggredito in casa e picchiato (oltre che filmato per un osceno pubblico ludibrio da condividere sui social) per anni da una gang di giovanissimi che lo chiamavano “il pazzo” e lo avevano eletto a capro espiatorio per non si sa quale colpa. Colpa che aveva più a che fare, evidentemente, con i loro fantasmi interni, piuttosto che con lui. Le scene riprese con i cellulari dei ragazzini sono agghiaccianti e riportano alla mente il film capolavoro del 1971 di Stanley Kubrick “Arancia meccanica”. Quell’opera scandalosa poneva domande ontologiche che a distanza di decenni sono ancora attualissime: cos’è il Male? Perché la violenza? E poi, è giusto che lo Stato, qualunque esso sia, attraverso le sue Istituzioni repressive decida cosa è lecito o cosa illecito? Siamo obbligati a seguire una legge etica e morale o abbiamo la possibilità di libera scelta?
“Arancia meccanica” non è opera paternalistica, dunque non offre risposte, ma mostra un gruppo di giovani per i quali il Male è una scelta, l’esercizio dell’intelligenza e qualcosa che ha a che vedere con l’estetica. Già: la violenza ha un suo fascino estetico, ma la capacità di discrimine tra fascinazione estetica e pratica della violenza nella realtà c’è una bella differenza. Per questo, sono rimasta un po’ perplessa quando ho visto le immagini di una scolaresca delle scuole primarie di Cremona in visita alla sede del Comando provinciale dei Carabinieri nell’ambito di un’iniziativa dell’Arma volta a promuovere la “cultura della legalità”. Bambini tra i sette e i dieci anni in tenuta antisommossa con caschi e scudi antiproiettile.
Ora, conoscere quali siano le attività delle forze dell’ordine in sé non ha nulla di male, e i bambini con scudo e casco si saranno anche divertiti, però la domanda è: quale scenario vuole evocare una simile messa in scena? Uno scenario di contrasto sociale spinto all’estremo, di scontri di piazza e di guerriglia urbana.
Certo, la violenza è tra noi, la agiamo e ne siamo agiti, e forse proprio per questo però, l’educazione dei più piccoli, lungi dal dover essere un mascheramento edulcorato della realtà, forse farebbe bene a puntare sull’esercizio dell’intelligenza emotiva, sulla capacità di far fronte ai conflitti, interni ed esterni utilizzando un modello diverso dalla linea attacco > aggressione > difesa > repressione.