Provate a immaginare di non avere il frigorifero. Nel rapporto col cibo, nell’organizzazione dei pasti, nel ritmo stesso della vita quotidiana tutto cambierebbe. La Royal Society di Londra, che nel 2012 ha chiesto a un gruppo di studiosi di indicare le invenzioni più importanti nella storia dell’alimentazione, ha raccolto un giudizio unanime sul fatto di assegnare il primo posto alla macchina del freddo.
Che il freddo aiuti a conservare gli alimenti non è mai stato un segreto, ma solo nel 1851 (brevetto dell’americano John Gorrie) apparve una macchina capace di generare il freddo artificialmente, quindi in modo continuativo. Il frigorifero fu applicato dapprima alle navi, poi ai vagoni ferroviari. Come strumento domestico si diffuse nel corso del Novecento: in Italia, non prima degli anni 50-60. Questa presenza oggi “normale” nelle nostre case è dunque un arrivo last minute, che ha modificato anche il gusto, attivando un rapporto nuovo con gli alimenti freschi.
La contrapposizione tra fresco e conservato è rimasta per secoli un discrimine fondamentale, anche dal punto di vista sociale, perché solo pochi privilegiati potevano permettersi di basare la dieta quotidiana sulle carni o i pesci freschi: le classi popolari li consumavano soprattutto sotto sale. Per le verdure la situazione è sempre stata diversa, grazie alla presenza capillare e sistematica di orti a fianco di ogni casa, ricca o povera, rurale o cittadina. Gli orti infatti producono sempre, o quasi, cibi freschi. Anche se le verdure si possono conservare, salate o fermentate o sotto aceto, la caratteristica unica che fin dal Medioevo si è riconosciuta agli orti è l’assenza di pause nella temporalità produttiva, grazie alla costante concimazione e al lavoro intensivo, assicurati entrambi dalla vicinanza delle case.
Le verdure si alternano di stagione in stagione, di mese in mese. Proprio per questo lo chiamano “orto”, sostenne Isidoro di Siviglia giocando sull’assonanza fra le parole latine ortus, orto, e oriri, nascere: «l’orto si chiama così perché vi cresce sempre qualcosa». Il concetto fu ripreso da un commentatore della Regola di Benedetto, l’abate Ildemaro di Corbie: parlando dei monaci egli notò che nelle ore dedicate al lavoro essi «vanno sempre nell’orto», dove «c’è sempre qualcosa da fare», mentre i campi «producono frutti una sola volta all’anno».
Quella dell’orto è una cultura socialmente trasversale, che dai monaci arriva ai re: Carlo Magno in un celebre testo elenca più di settanta erbe (e radici, e fiori) da piantare nell’orto delle aziende regie. Per quanto riguarda il mondo contadino, si intuisce facilmente l’importanza produttiva e alimentare di un luogo, per di più esente da prelievi signorili, che offre cibo con continuità. Definirlo “il frigorifero del Medioevo” è certo esagerato ma, forse, non del tutto fuori luogo.