Negli Usa è stata riconosciuta all’obesità la “dignità” di malattia. L’obeso spesso non è neppure un goloso (sedentario sì, quasi sempre) colpevole del suo stato. L’obesità è un documentato fattore di rischio e, come ripeto da svariati decenni, è l’anticamera di malattie più gravi e in parte prevenibili, malgrado la complessità delle concause ambientali che ne favoriscono il divenire. L’American Medical Association riconoscendo la multifattorialità del fenomeno (quindi anche la componente genetica o le difficoltà ambientali dei cittadini, giovani o adulti, condannati alla sedentarietà) ha preso una decisione che implica tra l’altro il problema dei rimborsi assicurativi: dalle visite specialistiche ai farmaci e alla chirurgia nelle sue forme restrittive o più drasticamente demolitrici.
Non è una novità che, in Italia, molti pazienti chiedono al medico nutrizionista di indicare come oggetto della visita, ai fini del rimborso, non l’obesità ma un diverso riferimento, magari gastroenterologico o endocrinologico, o una patologia più “importante”, ad esempio la sindrome metabolica o un iniziale diabete tipo 2, di cui l’obesità, con il suo corredo dismetabolico è una correa quasi immancabile.
Al di là delle implicazioni economiche che pure esistono e che già da alcuni anni hanno indotto l’Organizzazione mondiale della sanità ad allertare anche i Servizi sanitari più efficienti sulla futura impossibilità economica di fronteggiare la pandemia sovrappeso/obesità, esiste un potenziale mercato farmacologico che solo negli Stati Uniti sembra coinvolgere più di 70 milioni di adulti e 12 milioni di bambini.
L’obesità è tuttora orfana di farmaci davvero efficaci e c’è il pericolo che gli sforzi per prevenirla, con uno stile di vita più attivo e consapevole, vengano vanificati da campagne di marketing in favore di integratori e gadget farmacologici, tuttora meno efficaci del moto fisico e della sobrietà alimentare.
Paradossalmente trovo più efficace la determinazione di smettere di fumare (più risolutrice e decisiva del “fumare meno” che è un compromesso perdente) così come il cambiare stile di vita rispetto al mangiare porzioni ridotte e al fare solo pochi passi in più, come prescrive qualsiasi programma di dimagrimento con prospettive di successo a lungo termine.
Non è un caso che anche un oncologo famoso, come Umberto Veronesi, abbia centrato sul movimento fisico il suo messaggio salutista citando un recente lavoro (Prof. Uff Ekelund, Università di Cambridge) su 335.000 persone seguite per 12 anni, tra le quali il gruppo dei sedentari totali ha totalizzato un rischio di morte prematura superiore del 30% a quello dei moderatamente attivi (con un minimo di 15-20 minuti giornalieri di esercizio fisico) e con abitudini alimentari morigerate.