«Cosa ci fai lì dentro, Henry?»
«Che cosa ci fai tu lì fuori, Waldo?».
Dialogo ipotetico tra Ralph Waldo Emerson a David Henry Thoreau, 1846.
«Li dentro» è la galera, lì fuori, il mondo, di preciso la cittadina di Concord, Massachusetts, luogo di nascita dello scrittore e filosofo americano Henry David Thoreau, che, a 29 anni, nel luglio 1846, fu imprigionato per una notte dietro muri impenetrabili, ma non si «sentì segregato un solo istante». L’Istituzione infatti può segregare «carne, ossa e sangue» ma non lo spirito né le idee. «Quel muro,» scrisse poi Thoreau, «mi appariva solo come un grosso spreco di pietra e calcina.» Se non fosse stato per una donna che non volle essere identificata che gli pagò il riscatto (cosa che lo fece infuriare) probabilmente in carcere ci sarebbe stato un po’ di più e chissà, magari avrebbe cominciato a considerare diversamente i muri di pietra. Ma questa è un’altra questione.
La questione è: cosa aveva fatto, il giovane Thoreau per essere prelevato sul far della notte e condotto in prigione? Si era rifiutato, per ben sei anni, di pagare una tassa locale, la poll tax. Non l’aveva pagata perché voleva boicottare la guerra che gli Stati Uniti stavano portando avanti contro il Messico e lo schiavismo nel Sud degli Stati Uniti. Nel momento in cui si ritrovò in carcere, Thoreau pensò di usare questa situazione per parlare appunto dello schiavismo e, in generale, di come opporsi in modo nonviolento a leggi che si considerano ingiuste. Cosa sarà mai una notte in carcere? In effetti, nulla, a confronto con le ingiustizie patite dagli schiavi. Quella notte serve a Thoreau per cominciare a scrivere un breve saggio del 1849, Disobbedienza Civile che diventerà uno dei testi fondamentali per i movimenti rivoluzionari di protesta non violenti. Amato e citato da Gandhi e da Martin Luther King.
In queste ultime settimane, in seguito alla vicenda del sindaco di Riace Mimmo Lucano, indagato e poi arrestato per la gestione dei progetti per i profughi nel suo comune, si è tornato a parlare con forza di “disobbedienza civile”.
Non è facile stabilire quali siano i confini della disobbedienza civile che dovrebbe essere un atto di lotta politica non violenta: opporsi pacificamente a una legge non sempre è possibile o sufficiente, talvolta, le leggi considerate inique si sceglie di aggirarle e dunque violarle. È l’eterno dilemma tra il diritto e le leggi: il diritto prende in considerazione l’umano con tutte le sue specificità, e si basa anche sulla coscienza, le leggi normano e basta, e sono indifferenti ai casi specifici e ai dilemmi etici e morali in particolari condizioni. Riflettere sull’idea che di per sé le Istituzioni e lo Stato non abbiano sempre e comunque ragione e che il nostro atteggiamento di fronte a qualcosa che ci pare ingiusto può fare la differenza, potrebbe tornarci utile, ora e per il futuro. Altro esempio: la sindaca di Lodi con un’ordinanza chiude i rubinetti e le pentole della mensa ai bambini stranieri (circa 200) perché le loro posizioni patrimoniali in Patria appunto sono indimostrabili (non dev’essere facilissimo reperire documenti catastali da un Paese in Guerra, temo) così il Coordinamento Uguali Doveri di Lodi lancia una raccolta fondi che nel giro di poco raccoglie, grazie alle donazioni, una cifra superiore a quella immaginata. I cittadini privati, ovviamente, non possono sostituirsi allo Stato, ma possono dare lezioni di diritto e assestare uno schiaffo morale alle Istituzioni. Di modi ce ne sono sempre e non è detto neanche ci sia bisogno di farsi arrestare e mettere in carcere per una notte.
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