Sostengo da anni che il digitale non è una dimensione distinta dalla realtà “fisica”, ma piuttosto una sua estensione, un ambito in cui, ciascuno coi suoi tempi e secondo le proprie inclinazioni, abbiamo iniziato a vivere relazioni, lavoro, passioni, conoscenza. I modi e gli strumenti possono essere diversi da quelli dell’era analogica, ma il nostro comportamento continua a essere guidato da istanze e bisogni profondamente umani e sostanzialmente immutati.
Oggi che il lockdown imposto dall’emergenza Covid-19 ha limitato drasticamente le nostre possibilità di movimento, riducendo e imponendo regole strette alle attività svolte in presenza e anche impedendo totalmente molte cose che davamo per scontate – incontrare amici e parenti, uscire per una passeggiata o una corsa, andare in vacanza – gran parte della nostra vita di relazione, consumo e lavoro si è spostata online.
Questo ha fatto emergere impietosamente il divario fra chi era già a suo agio con questa dimensione, perché allenato da anni di uso degli strumenti digitali, e chi invece aveva rimandato a lungo certe scelte, convinto che non fossero poi così indispensabili: il digital divide brucia, e recuperarlo in fretta non è semplice.
Pensiamo alla didattica online: per seguire le videolezioni e fare i compiti assegnati via app o su un’area di lavoro condivisa servirebbe un personal computer o almeno un tablet per ogni studente, con una buona connessione a Internet, cioè Adsl o meglio ancora fibra: in quante famiglie si possono permettere questa spesa? Quanti genitori sono abbastanza a loro agio con gli strumenti digitali per aiutare i propri figli piccoli a scaricare e usare una app o inviare documenti agli insegnanti?
Ovviamente laddove ci sono le condizioni economiche per farlo, ma è arrivato il momento di riconsiderare le priorità del budget familiare e l’organizzazione degli spazi, attrezzandoci per potere anche lavorare a distanza quando necessario. E ancor di più, tutti dobbiamo curare e migliorare le nostre competenze digitali, che comprendono aspetti diversi:
• capire come funzionano le tecnologie vecchie e nuove e le loro implicazioni;
• curare la sicurezza digitale, imparando a gestire le password, difendere computer e smartphone da intrusioni e virus, identificare link e contatti “a rischio”;
• imparare a gestire meglio la qualità delle relazioni anche quando queste sono mediate dalla tecnologia, allenando l’empatia anche nelle conversazioni a distanza e imparando a discutere civilmente nelle chat e sui social;
• gestire in modo consapevole la nostra “impronta digitale” e la nostra privacy: i messaggi che scriviamo, i selfie e i video che mandiamo agli amici, le videoconferenze registrate, sono tracce permanenti che possono condizionare la nostra reputazione;
• saper gestire e limitare il tempo che passiamo davanti a uno schermo, riducendo la continua frammentazione dell’attenzione dovuta alle notifiche e imparando a staccare quando serve.
Ma tutto questo non può, non deve ricadere solo sui singoli: è l’intera società che deve ripensare le priorità di investimento e le forme di organizzazione, dando ai singoli gli strumenti economici e culturali per non restare indietro e facendo in modo che l’esigenza di sicurezza non generi isolamento e sorveglianza di massa.