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Le mille facce dello spreco, dalla campagna alla tavola

Noi consumatori siamo (giustamente) accusati di incredibili sprechi alimentari. Alcuni dati dicono che le famiglie italiane buttano via più di 8 miliardi di euro di cibo all’anno. Quasi un mezzo punto di PIL. In pratica comperiamo del cibo in eccesso che poi lasciamo marcire. In questo modo aumentiamo i rifiuti da smaltire, sprechiamo energia, perdiamo soldi e inquiniamo.

Ma non siamo noi consumatori i soli colpevoli: a costo di sembrare post-ideologico io credo che ci sia tutto un sistema economico che procura scientemente lo spreco. Prendete per esempio il consumo di acqua: il 60% circa viene impiegata (e spesso consumata) dall’agricoltura, il 30% dall’industria e solo il 10% è usata da noi consumatori. Dopodichè metà di questo 10% è perduta dai tubi rotti degli acquedotti. Giusto quindi che noi si chiuda il rubinetto quando ci si lava i denti, ma è poco più di un (sacrosanto) gesto simbolico.

Anche nello spreco alimentare il problema non è solo l’insalata che marcisce in frigo, e comunque non è solo colpa di noi consumatori. Per esempio c’è il commercio: merce che scade, confezioni danneggiate che non si vendono. Negli ultimi anni iniziative come Last Minute Market (dell’Università di Bologna) o Brutti ma Buoni (della Coop) hanno cercato di limitare i danni e riutilizzare gli scarti. Ma questo è solo un aspetto del problema. Noi consumatori sprechiamo anche quando pretendiamo zucchine di un determinato calibro, o mele di una determinata misura, o melanzane di un determinato colore. E ci sono anche i Comuni o gli Enti che nelle loro gare d’appalto per la gestione delle mense scrivono che la frutta e la verdura deve avere necessariamente una determinata misura o aspetto. In questo modo si butta alla produzione, cioè sul campo, quasi un 15% del prodotto e altrettanto viene poi scartato quando arriva al supermercato: quasi un terzo della roba in questo modo finisce sprecata, solo per una assurda pretesa che spesso è solo “estetica”. Pensate a quanta frutta che ha preso una grandinata e quindi ha qualche difetto si deve buttare.

Mentre vi scrivo sento la notizia che quasi tutto il raccolto di pesche e nettarine (cioè pesche noci) rischia di restare a marcire sulle piante, perchè il prezzo è crollato del 40%, molto al di sotto del puro costo di produzione, a cause di dinamiche “di Mercato”.  Peccato che al mercato – con la minuscola – il prezzo per noi consumatori non sia così basso. La speculazione quindi provoca molti più sprechi di noi. Ma da parte sua il consumatore spreca cibo anche quando si rifiuta (sempre spinto dal Mercato) a non pagare il giusto prezzo per quello che mangia: in questo modo allevatori e agricoltori, letteralmente, devono buttare il frutto del proprio lavoro. E si spreca non solo il prodotto in sé: si spreca energia, lavoro, sicurezza, concimi, anidride carbonica, acqua.

C’è poi un gravissimo spreco di biodiversità, dovuto sempre alle esigenze del Mercato: infatti si coltivano ormai solo pochissimi tipi di frutta&verdura, quelli più “belli”, che meglio si adattano alla conservazione e al trasporto. Altre specie, preziose a livello genetico, si estinguono. Anche quando pretendiamo di mangiare le fragole a dicembre provochiamo spreco.

Sempre le regole del commercio impongono poi incredibili sprechi dovuti al trasporto: altro che “filiera corta”, l’altro giorno ho trovato in vendita dell’aglio che veniva dall’Argentina! Ci sono poi gli sprechi dovuti all’illegalità: nella Terra dei Fuochi alcuni agricoltori hanno dovuto buttare il raccolto inquinato e molti altri hanno visto crollare il prezzo della loro ottima produzione per il danno d’immagine di una intera regione.

Ci sono poi abitudini alimentari sbagliate: di un animale macellato si tende a comperare soltanto la fettina o il filetto e il resto (il famoso “quinto quarto”) rischia di essere buttato. C’è poi forse un eccesso di “igienismo” nelle regole: nei Bar non è più possibile bere un bicchiere di acqua del rubinetto e ti devono aprire per forza una bottiglia di minerale e per esempio non si può più servire il the freddo “artigianale”, solo quello confezionato e industriale, con conseguenti sprechi a mio avviso inutili.

Per non parlare delle melonaie di campagna, oramai fuorilegge perchè sprovviste di lavastoviglie per sterilizzare i coltelli… Non mancano poi gli sprechi “strategici”: ad un certo punto la Politica Agricola (europea e nazionale) ha deciso di disincentivare assolutamente la coltura della barbabietola. Gli agricoltori hanno dovuto ripiegare su prodotti meno redditizi e sono stati chiusi un sacco di zuccherifici, salvo poi scoprire qualche anno dopo che era una scelta sbagliata. E gli esempi potrebbero continuare.

Quindi, cari consumatori, comperiamo pure solo l’insalata che poi consumeremo, ma cerchiamo anche di inquadrare, capire e smascherare le altre fonti di spreco, che fanno molti più danni di noi…

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