Città del futuro: nel cinema della mente si accendono le immagini di film distopici e di fantascienza in cui la natura, trasformata da impatto umano e cambiamenti climatici, sconvolge, brucia, inonda, desertifica o prolifera maligna. Una su tutte: il cielo cupo e piovoso di Blade Runner del regista americano Ridley Scott. Era il 1982 e il film era ambientato in un 2019 che sembrava lontanissimo. Città oscure, dolenti, tra androidi che vorrebbero essere umani e umani che usano modulatori dell’umore per soffrire di meno. Ma no, forse era solo una fiaba dark. Quando Philip K. Dick scriveva il libro “Il cacciatore di androidi”, dal quale il film è tratto, era il 1968, con le rivolte studentesche in corso. Si vedeva nero ma oltre c’era un’idea possibile di azzurro.
Nessuno, salvo i movimenti ambientalisti, immaginava che il colore del secolo successivo sarebbe stato il verde: green. Il colore lasciapassare, pulito, pacificante, simbolo delle energie rinnovabili. Anche le città devono virare al verde: sostenibili, digitali, intelligenti, virtuose. Purtroppo non bastano gli aggettivi, servono scelte politiche e comportamenti dei singoli. È da quando esistono le città che ci si domanda come renderle migliori: la città ideale di Platone dove tutto è comunità, l’isola utopica, giusta, agricola e verde di Tommaso Moro. Aggregarsi in piccoli e grandi centri, idea geniale per la sopravvivenza, ma in tanti casi anche fatale, basti pensare alle epidemie. E se questi due anni di pandemia hanno spinto a riconsiderare l’idea di decentrarsi, anche grazie allo smart working, i centri urbani restano il luogo in cui vive tra il 55 e il 70 per cento della popolazione. Nel suo ultimo libro, “L’anima delle città” (Iperborea), Jan Brokken racconta 12 città e 12 personalità artistiche del ‘900. Sul rapporto ombelicale tra Bologna e il pittore Giorgio Morandi scrive “se sei nato e cresciuto in una città come Bologna non ti viene voglia di sapere come si potrebbe vivere altrove”. Sarebbe bello si potesse dire di ogni città. Spazio e modi per tutti, invece le città discriminano e costano carissime. Il grande architetto Renzo Piano, una vita a progettare spazi pubblici per la comunità, sulla crisi urbana post pandemia ha detto che “vivere distanziati è vivere di meno”.
Il futuro è dunque ancora nelle megalopoli? Ecosistemi complessi in cui il naturale dialoga con l’artificiale. La biomimesi ci verrà in aiuto, utilizzare ciò che si è appreso dalla biologia e farlo fruttare con le tecnologie. Esempio, avremo forse alberi bioluminescenti, alberi di Natale veri, autoilluminanti, tutto l’anno. Un sogno da bambini. Sarebbe utile chiedere anche a loro come immaginano le città: Fabbriche di Cioccolato con ascensori di cristallo alla Roald Dahl, o avveniristiche come la Telosa sognata negli Usa dal milardario Marc Lore, o Woven City, quella giapponese a marchio Toyota. Di sicuro, una citta buona è quella dove i desideri si realizzano e non si ha troppa paura. Come considerava Marco Polo raccontando al Kublai Khan delle straordinarie città visitate nei suoi viaggi per il globo ne Le città invisibili di Calvino: “Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure”, e chi può saperne più dei bambini, a questo riguardo?