“Ciascuno di noi è completamente isolato in se stesso, anche se tra noi il legame è strettissimo. La vita intera non è altro che un tentativo ininterrotto di ritrovarci”
Così scriveva il formidabile scrittore austriaco Thomas Bernhard (nella foto) nel romanzo “Perturbamento”, del 1967. Un romanzo per anime forti che racconta una giornata nella vita di un medico condotto della Stiria austriaca, narrata dalla voce del figlio costretto a seguire il padre nelle sue visite a domicilio. Una regione nebbiosa e ostile, la Stiria, in cui la Natura schiaccia uomini, donne e bambini ammalati, doloranti e deliranti, paralizzati e separati gli uni dagli altri da morbi, fobie e terrore del futuro. Ci ricorda qualcosa? La pandemia che stiamo affrontando è un tema di salute pubblica, ma il corpo e la mente, com’è ovvio, non sono separati e concentrare la nostra attenzione soltanto sulle conseguenze legate ai corpi può creare dei problemi.
Problemi che sono immediati e che tantissime persone stanno vivendo da mesi, ma anche problemi che presenteranno il conto magari tra anni. Vale per anziani, giovani uomini e donne, adolescenti e bambini. Ogni fascia d’età si è trovata e si trova a fronteggiare paure, angosce, incubi e restrizioni che hanno ridotto il margine d’azione quotidiano e l’orizzonte d’attesa sul futuro. Le abitudini quotidiane sono state stravolte e le famiglie si sono ritrovate faccia a faccia con la solitudine del nucleo isolato. Bambini e adolescenti separati dai loro amici e compagni, nonni separati dai nipoti, relazioni amicali e lavorative costrette a interrompersi . Ci sono poi tutti coloro che si sono ritrovati senza il supporto della rete che segue i disturbi psichiatrici di una certa entità.
La Società Italiana di Psichiatria ha lanciato un’allarme attraverso il suo presidente Massimo Di Giannantonio perché le istituzioni diano risposte adeguate sul territorio alle persone in difficoltà. Ad aprile scorso era stato attivato un numero verde nazionale che al momento in cui scrivo risponde, tra ironia e tragedia: «Il servizio di emergenza Covid ha concluso la sua attività». Clic. Perché? Paura, stress, ansia, incertezza relazionale ed economica ci riguardano tutti: “adattivi” e “vulnerabili”. Ci siamo scoperti più fragili di quanto non sospettassimo. Fragile è il corpo e fragili sono la mente e l’emotività.
Dopo la primavera da incubo che abbiamo passato, e la timida estate in cui abbiamo provato a riaffacciarci alla vita, a ottobre siamo gradualmente rimpiombati nella realtà di curve in salita e crescita esponenziale di contagi. Ci sentiamo piccoli, spaventati, disuniti. La frattura tra IO e NOI è sempre più evidente ed proprio su questo aspetto che dovremmo puntare: il noi. Siamo separati, a distanza, ognuno chiuso dentro il suo piccolo bozzolo, ma cos’è la vita, come scrive Bernhard se non “un ininterrotto tentativo di ritrovarci?” Per i corpi, certo, ma anche per ciò che il corpo lo anima. C’è un carico che tocca a tutti noi, singolarmente, ed è il nostro personale contributo al benessere collettivo. Ogni gesto d’ascolto può essere cura: la rete, la tecnologia, ma anche una parola scambiata con i vicini di casa o con quelli che incontri per strada. Mantenere una disponibilità alla presenza. «Anche se questo mondo pretendeva o fingeva di essere sano, era pur sempre un mondo malato». Scrive, sempre Bernhard. E se provassimo, come esercizio quotidiano, a fare del nostro meglio per ribaltare questa frase? Suonerebbe così: «Questo mondo pretendeva o fingeva di essere malato, era pur sempre un mondo sano». È un paradosso, ma i paradossi talvolta curano.