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La tradizione delle castagne

È tempo di castagne nei mercati ma anche in qualche piazza dove ricompare il venditore di caldarroste. Tuttavia, per quanto i giovani cuochi, in cerca di originalità e di successo, tentino di recuperare la ”cucina del territorio”, c’è poco spazio per l’umile castagna, retaggio di un’economia di sopravvivenza.
Per millenni le castagne sono state una risorsa provvidenziale, specialmente nei paesi di montagna che non disponevano neppure dei cereali più umili. In tempi di carestie, quando pochi fortunati potevano permettersi di panificare con la farina di grano, le castagne hanno dato, meglio delle ghiande o delle fave, un contributo alla sopravvivenza collettiva, anche se il valore nutrizionale della farina di castagne è inferiore a quello della farina di grano, per quantità e digeribilità dell’amido.
Quando le castagne venivano consumate in abbondanza causavano, non di rado, acidità gastrica e flatulenza. Ciò dipende dalla presenza di particolari zuccheri che sfuggono all’azione digestiva degli enzimi e debbono essere degradati (come accade anche per le bucce dei fagioli e di altri legumi) dalla flora batterica del colon con sviluppo di gas.
Questo disturbo è più frequente fra i consumatori di caldarroste, arrostite non più sotto la cenere ma in padelle bucherellate che provocano la cottura non uniforme dell’amido con parti semicrude e altre carbonizzate. Oltre alla produzione di gas intestinali si deve alle caldarroste, più che alle ballotte (bollite in acqua e sale), qualche fastidio intestinale o la riacutizzazione dei disturbi per chi soffre di colite cronica. La farina di castagne, invece, non comporta problemi dopo i normali trattamenti di cottura, al punto che per secoli è stata utilizzata anche per delle preparazioni destinate all’infanzia.
Le castagne fresche hanno un valore calorico di 207 calorie, per 100 g di parte edibile, con 3,5 g di proteine vegetali. Le castagne secche, invece, hanno dei valori nutrizionali più alti e forniscono una farina largamente utilizzata nell’austera cucina dei secoli bui.
L’Artusi, nel suo classico trattato, citava il “Migliaccio di farina dolce, volgarmente detto castagnaccio” ma lamentava il fatto che in alcune province d’Italia non si usasse più la farina di castagne, malgrado “si tratti di un alimento poco costoso, sano e nutriente, per chi non ha paura della ventosità”!.
Il castagnaccio, ormai quasi sconosciuto ai giovani, è un dolce “povero”, per qualità e costo degli ingredienti, ma un’interpretazione nutrizionale della ricetta potrebbe dare delle piacevoli sorprese a quanti amano i moderni dolci ma ne temono il potenziale calorico ed il sovraccarico di grassi.

Eugenio Del Toma

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