A scuola è più facile che si studino le Guerre puniche che il riscaldamento globale. Chissà perché la contemporaneità è sempre al fondo dei programmi e non ci si arriva mai entro l’anno scolastico. Allora invertiamo il programma: cominciamo dai problemi pressanti di oggi e via via andiamo indietro nel tempo. Se poi non fosse possibile occuparsi delle gesta di Alessandro Magno, pazienza! Meglio conoscere chi fu Svante Arrhenius, il premio Nobel per la chimica che nel 1896 identificò nella combustione del carbone il futuro riscaldamento del nostro pianeta!

L’educazione ambientale, che dall’anno scolastico 2020-21 dovrebbe diventare materia obbligatoria, è fondamentale per preparare i nostri giovani al futuro che li attende e alle azioni indispensabili subito per ridurre l’entità dei danni che purtroppo dovranno affrontare. L’aspetto interessante dello studio dei rischi climatici e ambientali è che si tratta di una materia trasversale, che investe tutti i saperi: ovviamente si parte dalle scienze naturali, con la fisica, la chimica e la matematica, strumenti di base per capire il funzionamento dei processi che avvengono sul pianeta. Ma poi la storia e la geografia che si sviluppano anche in base ai tipi di climi e ai loro cambiamenti nel tempo in relazione alla produttività agricola, da cui carestie, conflitti militari ed economici, migrazioni di popoli. La letteratura apparentemente lontana da questi temi, spesso li ha invece anticipati e compresi meglio della scienza stessa: Manzoni nel descrivere la peste di Milano del 1630 illustra benissimo la mancanza di lungimiranza e prevenzione della società dell’epoca, non molto diversa da oggi; Italo Calvino ci parla di speculazione edilizia, smog e rifiuti con eccezionale capacità narrativa, fino ai romanzi di climate-fiction dei giorni nostri, come “Qualcosa là fuori” di Bruno Arpaia, che ipotizza una futura migrazione degli italiani fiaccati dalla siccità verso la Scandinavia, dove vengono respinti come noi facciamo oggi con gli africani sui barconi.

Le scienze sociali e la psicologia sono importanti per capire come mai non siamo capaci di reagire correttamente agli allarmi ambientali, mentre la filosofia potrebbe indirizzarci verso una maggior etica della natura e una sobrietà nei consumi. Perfino l’arte ha relazioni con il clima: i pittori fiamminghi del ‘500 e ‘600 con i loro gelidi paesaggi hanno contribuito a descrivere quella che oggi chiamiamo “Piccola età glaciale”. E poi c’è il diritto, ovvero le leggi che dovrebbero difendere il clima e l’ambiente, c’è l’economia, che dovrebbe completamente cambiare registro diventando “verde”, c’è l’agricoltura che dovrà adattarsi a nuovi climi, c’è l’architettura che si dovrà orientare verso il risparmio energetico e l’impiego delle energie rinnovabili lavorando insieme agli ingegneri dell’ambiente e dell’energia. E infine ci sono le nuove materie, come l’economia circolare, il riciclo dei rifiuti, la comunicazione e il giornalismo ambientale. Per insegnare tutto questo servono però anche docenti preparati, quindi bisogna pensare anche a un imponente piano formativo per professoresse e professori su temi che sono in continua evoluzione. Certo, le Guerre puniche erano più comode…

Tag: Clima, cambiamenti climatici, scuola

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1 Commento. Nuovo commento

  • Massì dimentichiamo la Storia tanto non ha alcuna importanza. I bambini di oggi non possono conoscere sia le gesta di Alessandro Magno sia Arrhenius? Ecco perché il livello della scuola è sempre in calo, perché “è meglio sapere questo piuttosto che quello” così non si conosce nè l’uno nè l’altro.

    Complimenti per il suo articolo dis-educativo!

    “La storia è la memoria di un popolo, e senza una memoria, l’uomo è ridotto al rango di animale inferiore.”
    (Malcolm X)

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