Se siamo il paese della moda e poi siamo anche il paese della solidarietà, com’è che la moda etica non è ancora la prima voce del PIL italiano? Molti marchi del made in Italy sono leader mondiali nel fashion, se lo sono conquistato negli anni e adesso hanno un grande potere: fanno tendenza, vestono le star di tutto il pianeta, decidono i colori e le sfumature, stabiliscono quanto sarà corto un pantalone e se la giacca dell’inverno prossimo deve avere due o tre bottoni. Pensate a quello che potrebbero fare se seguissero la strada tracciata da una ragazza di Verona che si è messa in testa di fare impresa in maniera etica, sostenibile e molto fascinosa.
Si chiama Anna Fiscali, ha studiato in Italia (all’Università di Verona e alla Bocconi di Milano) e a Parigi, al prestigioso Istituto di studi politici che chi lo frequenta chiama, con nonchalance, Sciences Po. Poi ha fatto alcune cooperazione internazionale, in India e ad Haiti, per capire da vicino i meccanismi della povertà e dell’emarginazione sociale. Poi, in Italia, con un gruppo di amici, ha pensato a come declinare moda, una sua antica passione, con etica e sostenibilità.
Sono in cinque e nel 2012 creano Quid, una start-up che crea capi di abbigliamento da rimanenze di campionatura di tessuti pregiati. Quelli destinati alla discarica. Già questo basterebbe per mettere i cinque ragazzi nella nostra hall of fame dei nuovi imprenditori italiani. Non solo si inventano un’attività, non solo decidono di trasformare una passione in un lavoro vero, ma in più fanno anche attenzione alle materie prime che utilizzano e seguono i dettami della sostenibilità: nulla si spreca, tutto si può recuperare, dagli scarti degli altri nasce un prodotto nuovo! Per noi sarebbero già santi subito, e invece a loro non basta. Pensano che sarebbe fantastico far lavorare quei tessuti a donne con un passato di fragilità, perché se in generale il lavoro nobilita, un lavoro in cui la materia prima è la bellezza, forse aiuta anche di più.
Dal 2012 i ragazzi di Quid si sono ingranditi, hanno vinto premi e attestati, assunto altre persone. Soprattutto si sono inseriti in un mercato globale, quello della moda, trovando una nicchia nuova. E lavorandovi con grande originalità. Adesso li potete trovare in molti negozi: hanno diverse collezioni, gonne, pantaloni, magliette. Spesso sui capi c’è disegnata una molletta da bucato. È il loro logo. La molletta è un simbolo universale: unisce le cose, racconta che si possono tenere insieme valori di mercato e valori sociali. E che a dimenticarsene non si va da nessuna parte.
È un approccio etico: il profitto, che in ogni impresa deve esserci, sta insieme al lavoro come possibilità di riscatto sociale dopo una vita incasinata. Se volete ci si può vedere un altro modo di essere alla moda, la collezione che si fa strumento di riscatto sociale, le nuances come diversità, differenze e pluralità di vite possibili. Sembra un sogno e invece è realtà. Se poi diventa anche successo imprenditoriale allora vuol dire che sulle passerelle di Milano, Parigi e New York noi italiani potremmo portare un qualcosa in più, un “Quid” fatto di valori e di attenzione all’essere umano che gli altri poi dovranno, come sempre, provare a copiare. E in questo caso ben venga l’imitazione!
marzo 2016
2 Commenti. Nuovo commento
Che meraviglioso Progetto.
È possibile mettersi in contatto con loro per chiedere consigli per un progetto simile a Torino?
Grazie mille se saprete aiutarmi.
Lucia
Ciao Lucia, qui trovi i contatti della cooperativa.