A fine 2021 ci ha lasciato Gian Piero Galeazzi, noto con il soprannome di “Bisteccone” fin da giovane, vista la sua mole massiccia. I media così descrivono la causa del decesso: “Da anni combatteva contro una grave forma di diabete” su La Repubblica, “al termine di una lunga malattia” su La Gazzetta, “era malato da tempo di diabete” su La Stampa. Mi ha colpito che nessuno abbia attributo il suo decesso alle complicanze dell’obesità di cui soffriva. Soffermandomi sul tema e provando a cercare, ho notato l’assenza di articoli divulgativi in cui si attribuisca un decesso all’obesità, come se vi fosse una forma di giudizio, uno stigma.
Il tema “obesità e stigma” è attuale. Lo psicoterapeuta Daniele di Pauli, membro della commissione scientifica della Società Italiana Obesità, ha scritto il suo ultimo libro per approfondirne ragioni e conseguenze. L’obesità non è una scelta. Chiunque abbia l’occasione di conoscere e saper ascoltare persone obese sa che non scelgono di esserlo, frequentemente hanno ragioni serie che motivano questo problema, che periodicamente provano a contrastare. Noi professionisti cerchiamo di essere di aiuto, ma l’obesità è una malattia multifattoriale, ed anche con persone brillanti e tenaci come Galeazzi, le difficoltà nella cura sono la norma e non l’eccezione. Ho sottolineato la tenacia perché in molti sono pronti a giudicare chi soffre di obesità come persone poco tenaci, mentre Galeazzi nella vita, anche da atleta agonista, sapeva essere tenace. E allora perché non riusciva a stare a dieta? Per la medesima ragione per cui una paziente anoressica non riesce a mangiare: sono entrambi malati, ma l’anoressia viene trattata e curata come una malattia, l’obesità non ancora a sufficienza.
Gian Piero Galeazzi era stato un frequentatore di cliniche dimagranti in voga negli anni ‘80-’90 – ma presto capì che le diete di moda non erano la soluzione, e suggeriva di rivolgersi ad un medico competente per affrontare il problema. Tuttavia, aggiungeva che, alle volte, lui stesso non se la sentiva di affrontare un nuovo percorso, ed anche per questo la “mamma” dei suoi problemi di salute, l’obesità, non curata si è cronicizzata. Dire “pane al pane e vino al vino”, ovvero descrivere la realtà in modo schietto e franco, senza giri di parole, era una caratteristica di Galeazzi ed è un compito non semplice per chi si occupa di divulgazione, ma utile per chi legge. Per questo scrivo che, a mio parere, Gian Piero Galeazzi è morto per le complicanze dell’obesità.
Noi professionisti avremmo potuto fare di più? Certamente, mettersi in discussione è la base della medicina, e oggi abbiamo nuove terapie che, se usate quando Galeazzi aveva 20 anni di meno, avrebbero migliorato l’aspettativa e la qualità della sua vita. Ma l’insegnamento di Galeazzi che dobbiamo tenere in mente è nella sua dichiarazione: «Bisogna affidarsi a un medico serio». È nostro compito sforzarci maggiormente per creare le condizioni affinché il paziente mantenga la motivazione alla cura, altrimenti anche la migliore delle cure sarà inefficace.