È passato un anno dall’esordio conclamato della Pandemia che ha sconvolto il Mondo e cambiato le nostre vite. Quanto è lungo un anno? Può essere velocissimo o lentissimo, dipende dalla nostra percezione, ma anche da quello che accade a livello globale. Questo 2020 appena trascorso è stato probabilmente, e paradossalmente, l’anno più veloce e quello più lento che abbiamo mai vissuto, e il meno gentile. Velocissimo perché nel giro di poche settimane ha spazzato via certezze e condizioni che forse davamo per scontate: salute in primis, lavoro, istruzione, viaggi, libertà di movimento, relazioni, divertimento. Lentissimo perché quasi tutti abbiamo dovuto frenare, muoverci meno, incontrare meno, ridurre, contrarci, isolarci per arginare il contagio, e abbiamo sperimentato in alcuni casi un tempo fiacco, privo di stimoli, come mai ci era accaduto.
Dentro le case, affacciati alle finestre, con la possibilità di incontrare soltanto le persone che fanno parte del nostro nucleo familiare stretto e a volte neppure quelle. Cosa è stato per ciascuno questo tempo vorticoso e immobile? Cosa ha tolto e cosa ha dato? Ci siamo affacciati al 2021 con la speranza del vaccino che, gradualmente, ci metterà al sicuro e potrà ridare una carica di vitalità alle nostre esistenze. Ma tutto è ancora incerto. Tutto vorticoso e, ancora, lento. Quando Margaret Atwood pubblica il suo primo libro di poesie, “Esercizi di potere”, è il 1971: sono passati quarant’anni. Il mondo è cambiato, le dinamiche sono altre. Eppure, queste poesie, uscite in Italia a novembre 2020 in traduzione italiana per Nottetempo, sono attualissime. Nella raccolta, il soggetto del discorso poetico è una coppia di amanti, ma quella relazione d’amore è inserita nella Storia e pur essendo materia privata, intima, è intrisa di Mondo, di eventi, del clima che si respira intorno, dei mutamenti – climatici, biologici e politici – che coinvolgono la Terra e i suoi abitanti. Tutto è legato a tutto e gli amanti avanzano nel loro universo privato ma anche negli spazi aperti della città e là dove l’ambiente esterno si fa più selvatico e impervio, apparentemente innocente, ma aspro e duro come lo è la Natura.
Ci siamo ritrovati nel 2020 a fare i conti con un mutamento che ha coinvolto il nostro status biologico, l’economia, il diritto alla salute, all’istruzione e alla tutela del lavoro. Spauriti, ci siamo aggrappati alle cose che avevamo, oppure abbiamo compreso che quelle cose (luoghi abitati, lavoro, relazioni d’amore e d’amicizia, rapporti familiari) in realtà vacillavano da tempo e avevano perso la loro spinta propulsiva: prima però potevamo uscire, distrarci, potevamo non pensare in continuazione alla morte, alla sconfitta, alla perdita. Abbiamo dovuto guardarci dentro, oltre che guardare fuori. Adesso dobbiamo ricostruirci e le parole in questo sono importanti: possono distruggere o riparare, dipende da come le usiamo. Nella poesia “Sono nazioni ostili”, Atwood scrive: “Considerando gli animali in sparizione / il proliferare di fogne e di paure / l’addensarsi del mare, l’aria/prossima a estinguersi / dovremmo essere gentili, dovremmo / sentire l’allarme, dovremmo perdonarci / Invece ci siamo contro, ci / tocchiamo come chi aggredisce … / A ognuno serve il respiro / degli altri, il calore, sopravvivere / è la sola guerra / che ci si può permettere… “.
Continuo a ripensare a tutte le metafore belliche che abbiamo sentito e usato in questi mesi e credo che la cosa che conta davvero, per sopravvivere, e prepararci a rinascere, sia essere gentili gli uni con gli altri, perdonarci: per la rabbia, per la paura, per gli scontri che abbiamo alimentato, anche solo a parole, appunto. Non c’è niente di più difficile, niente di più urgente.