L’Unione Europea è iniziata con il carbone e l’acciaio, il trattato del 1951 che mette insieme sei paesi. Intorno al carbone, senza acciaio, è iniziata un’altra storia di unione tra le persone, 50 anni fa, a Trieste, nel grande Ospedale Psichiatrico che occupa tutta una collina. Nei padiglioni ci sono 1.200 internati.

Davanti ai padiglioni arrivano i camion che scaricano il carbone per le caldaie. Una montagna di carbone: portarlo dentro, giù in cantina, tocca agli internati. Un lavoro faticoso e senza paga. Si chiama “ergoterapia”, cura attraverso il lavoro. In teoria anche una buona cosa, in pratica uno sfruttamento in cambio di un pezzo di metallo quadrato che vale un pacchetto di sigarette allo spaccio interno. Nel manicomio gli internati fanno le pulizie, lavano la biancheria e la distribuiscono nei reparti, cuciono le misere divise che tutti devono portare. Tengono in funzione l’istituzione che li tiene prigionieri. Si è sempre fatto così: da duecento anni questo fa la psichiatria.

Ma adesso è arrivato un psichiatra un po’ filosofo, si chiama Franco Basaglia e dice che a lui più delle malattie e delle diagnosi interessano le persone. E come far ridiventare “persona” un internato. Cambiando il manicomio e le sue regole. Così si comincia a discutere.

C’è uno psicologo, si chiama Danilo Sedmak, è mancato un anno fa, che propone una cosa mai pensata prima: facciamo una cooperativa? La fanno. Il 16 maggio 1972 sono davanti al notaio. Dodici operatori e sedici internati. Ma il notaio scrive “privati”, per allontanare quella parola pericolosa. Costituiscono “una società cooperativa a responsabilità limitata denominata Cooperativa Lavoratori Uniti” che “si propone di garantire a tutti i soci che svolgono mansioni lavorative all’interno e no dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale, il riconoscimento dei propri diritti di prestatori d’opera e di contribuire a creare le condizioni per un effettivo inserimento nella società e per una effettiva riabilitazione psicosociale”.

Il Tribunale rigetta l’atto: gli internati sono “pericolosi a sé o agli altri” e non hanno diritti civili. Non possono votare, sposarsi, comprare un’auto. Niente cooperativa. Ci sono ricorsi rigettati, c’è il giovane presidente della Provincia – l’Ospedale Psichiatrico è cosa sua –  che predispone una delibera per abolire l’ergoterapia e agevolare la strada della cooperativa. Si chiama Michele Zanetti, è lui che ha voluto Basaglia a Trieste e insieme spingono quella grande fabbrica di cambiamento: pensare alla possibilità di una società senza manicomi e poi costruirla. C’è una legge del 1968 che sta incrinando l’immobilità del manicomio: l’internato può diventare “ricoverato volontario”, riprendere capacità giuridica. Così il 16 dicembre 1972 tornano dal notaio e rifanno la cooperativa.

È la prima cooperativa sociale d’Italia e del mondo. Negli anni seguenti molti operatori dei servizi di salute mentale, in giro per l’Italia, insieme a molte persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale, lavoreranno sodo per crearne altre. Nel 1991 arriva la legge che ne riconosce il valore. A Trieste la Cooperativa Lavoratori Uniti ha aggiunto Franco Basaglia al suo nome e continua a mettere insieme lavoro, accoglienza e dignità.

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