Nel centro di ricerca Nestlé a Vevey, uno stomaco artificiale ricostruito in laboratorio serve a studiare i meccanismi della digestione e come possano essere influenzati. In particolare si sta mettendo a punto un sistema per manipolare i centri nervosi dello stomaco, quel “cervello della pancia” che attraverso i suoi impulsi (500 milioni di cellule nervose) governa il rapporto del corpo con il cibo, determinando i crampi della fame o il senso di sazietà. Si ricercano sostanze volte a “ingannare” la fame, inducendo un segnale di sazietà precoce, che costringa a mangiare di meno. Per esempio si aggiunge all’olio d’oliva un monogliceride che, avvolgendo le molecole dell’olio in una sorta di pellicola protettiva, ne rende più difficile e lunga la digestione. È la sfida “chimica” a un problema tipico del nostro tempo, l’obesità, a cui anche le multinazionali del cibo sono costrette a porre attenzione.
Leggendo queste cose non posso fare a meno di pensare al contadino Mingone, rappresentato nella “Pratica agraria” del riminese Giovanni Battarra, un trattato di agronomia del 1778, scritto in forma di dialogo fra un padre contadino e i suoi due figli. Si parla qui a un certo punto di una novità appena introdotta nei campi di Romagna, la patata, di cui il capofamiglia decanta le lodi ai figli, perché potrà aiutarli a vincere la fame. Con la patata – giunta in Europa da oltre due secoli, ma non ancora introdotta nei sistemi agrari – si potranno fare specialità di vario genere e perfino rendere più dolce il pane, assicura Battarra per bocca del nostro contadino, facendolo interprete di un’idea assai diffusa nell’Europa del Settecento: che la farina di patata potesse entrare nella preparazione del pane lo sostenevano in tanti, per propagandare fra i contadini l’immagine del nuovo prodotto. Anche in questo modo si sperava di combattere la fame, presenza drammatica fra i ceti rurali dell’epoca, segnata da continue carestie.
Ma torniamo al nostro Mingone. Al padre che decanta le virtù del pane arricchito di fecola, il figlio chiede: ma un pane fatto di sole patate, come potrà essere? Buonissimo, lo rassicura il padre: solo che, aggiunge, “dicono che sia alquanto duro alla digestione”. Imprevedibilmente, la precisazione non turba affatto il giovane Mingone, anzi lo riempie di gioia. Perché, spiega, “ai contadini l’indigestione non nuoce, anzi sembra loro d’esser più sazi”.
Una bella indigestione per non sentire – almeno per un po’ – i morsi della fame. La strategia di Mingone mostra una curiosa analogia con quella dei ricercatori Nestlé: ingannare lo stomaco, costringendolo a una sazietà artificiale. Solo che è completamente mutato il contesto. Quello di Mingone è il mondo della fame, la sua paura è di non avere abbastanza da mangiare. L’Europa del XXI secolo è il mondo dell’abbondanza, dove si ha paura di mangiare troppo. In entrambi i casi, un imbroglio ai danni del corpo. Io sogno un mondo in cui il rapporto col corpo sia più schietto e cordiale.

Massimo Montanari

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