Tra le tante iniziative di legge del nostro parlamento che meriterebbero un percorso privilegiato e urgente ce ne è una particolarmente “sfortunata” e nello stesso tempo urgente. Ogni secondo che passa (letteralmente ogni secondo) in Italia si consumano circa 8 mq di suolo. Ciò significa che, in questo paese, circa 25.000 ettari all’anno di territorio utile vanno perduti sotto una vera e propria alluvione di asfalto e cemento e sottratti agli usi umani tradizionali, come l’agricoltura. Se si considera che, per dirne una, nel Regno Unito, gli ettari perduti sono circa 10.000/anno (cioè quanto da noi la sola Sicilia), si comprende immediatamente la portata del problema. Qui non si tratta solo dell’impatto ambientale e paesaggistico, pure gravissimi in un paese vocato ad attrarre turisti, ma anche di valori e produttività.
Così facendo, infatti, la percentuale di suolo impermeabilizzato artificialmente da asfalto e cemento ammonta ormai a circa il 7,3% del totale nazionale, contro una media europea di 4,3, cosa che si traduce in una maggiore esposizione al rischio idrogeologico di una nazione che già adesso, in questo campo, ha il poco onorevole primato continentale. E in agricoltura gli effetti di questa vera e propria devastazione territoriale silenziosa sono ancora più gravi, deprivando la popolazione di una parte significativa di risorse utili. Per fare un altro esempio, se i 70 ettari perduti ogni giorno fossero interamente coltivati a cereali, in soli tre anni se ne sarebbe impedita la produzione di 450.000 tonnellate, per circa 90 milioni di euro di costi e una conseguente ulteriore dipendenza dalle importazioni.
Ecco perché è urgente approvare la legge per il contenimento del consumo di suolo che giace in Parlamento da due anni. Soltanto negli ultimi 15 anni circa tre milioni di ettari un tempo agricoli sono stati asfaltati e/o cementificati. Questo consumo di suolo sovente si è trasformato in puro spreco, con decine di migliaia di capannoni vuoti e 25 milioni di vani sfitti: suolo sottratto all’agricoltura, terreno che ha cessato di produrre vera ricchezza. La cementificazione riscalda il pianeta, pone problemi crescenti al rifornimento delle falde idriche e non reca più alcun beneficio, né sull’occupazione né sulla qualità della vita dei cittadini. Inoltre questa bulimia costruttiva considera il territorio una risorsa inesauribile, in un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo, per finanziare i servizi pubblici ai cittadini (monetizzazione del territorio). Di più: in molti casi le nuove costruzioni hanno impegnato aree che dovevano essere lasciate libere perché a rischio naturale elevato, come è il caso delle abitazioni abusive costruite alle pendici del Vesuvio, nella zona rossa di Sarno, lungo le coste tirreniche a rischio tsunami e ovunque ci siano corsi fluviali che possono esondare.