L’invenzione dell’agricoltura (12 mila anni fa, nelle regioni del Medio Oriente conosciute come Mesopotamia) modificò radicalmente l’alimentazione umana. L’addomesticamento dei cereali, prima usati solo in modo sporadico come piante selvatiche, inaugurò un nuovo sistema produttivo e alimentare, che nel giro di alcuni millenni si affermò ovunque: in Asia (e di qui in America), in Africa, in Europa (via via risalendo da sud-est verso nord-ovest). Sul piano nutrizionale fu un cambiamento vistoso, non privo di controindicazioni: nelle regioni più settentrionali, come la Scandinavia, dove la dieta cerealicola si affermò solo 5-6 millenni fa, ancora oggi l’intolleranza al glutine è più diffusa che in area mediterranea.
La cerealicoltura mise a frutto le piante che nelle varie zone del mondo si incontravano allo stato selvatico: il grano e l’orzo in Medio Oriente e nel Mediterraneo, il miglio e il sorgo in Africa, il riso in Asia, il mais in America. Gli uomini però non mangiano cereali. Imparano a usarli trasformandoli in modi diversi: cuocere i chicchi in acqua o al fuoco, ridurli in farina e con questa fare pane, focacce, pizze, polenta, pasta… La storia della cucina da quel momento prende tante vie ma ovunque è rappresentata come una conquista di libertà e di autonomia: gli uomini non si limitano più a prendere ciò che trovano in natura ma costruiscono il loro cibo. È così che il pane diventa un simbolo di evoluzione e di civiltà, che differenzia gli uomini dagli altri animali.
Il più antico poema epico della storia, scritto 4.500 anni fa su tavolette d’argilla in caratteri cuneiformi dalle popolazioni sumeriche che vivevano nell’odierno Iraq, racconta le vicende dell’eroe Gilgamesh e a un certo punto introduce un’idea di grande interesse: il pane rende uomini. C’è un uomo selvatico, di nome Enkidu, che vive con le bestie e come le bestie; solo quando gli insegnano che esiste il pane, “bastone della vita”, egli “diventa un uomo”. Assieme al pane gli offrono un boccale di birra – anch’essa prodotta con i cereali, anch’essa “inventata” dagli uomini, anch’essa simbolo di una nuova civiltà. Gliela fanno bere “perché questo è l’uso del paese”: bere (e mangiare) è anche un segno di socialità e di appartenenza. Quel cibo e quella bevanda nascono insieme, in modo simile: lievita il pane nel forno, a secco; lievita la birra nel calderone, in acqua. Anche fra gli antichi Egizi pane e birra erano, insieme, un simbolo di civiltà e di identità culturale. Molte immagini e statuette (che, nelle tombe, accompagnavano il viaggio dei defunti nell’aldilà) rappresentano il pane mentre viene impastato e cotto, e al suo fianco la birra che fermenta in un grosso recipiente.
Ho visitato di recente un museo della civiltà rurale in Danimarca, e ho visto che in quasi tutte le case contadine, accanto al forno del pane, c’è un calderone per la birra, che utilizza il calore dello stesso fuoco. Il binomio pane-birra (che, nel corso del tempo, in area mediterranea è stato sostituito dalla coppia pane-vino) in tanti paesi è arrivato fino ai giorni nostri.