Sfida a MasterChef ai primi di febbraio: realizzare un Timballo di maccheroni secondo la ricetta del “Gattopardo” (un brano molto noto della letteratura italiana contemporanea). Alla riapertura annuale del palazzo di Donnafugata, una cena solenne accoglie il principe di Salina e la sua famiglia. Il piatto-simbolo della cena, lo spettacolo nello spettacolo è il Timballo che Tomasi di Lampedusa evoca con queste parole: «L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio».
Una preparazione molto elaborata, un pezzo di bravura particolarmente difficile. Non solo per la complessità della procedura ma per la sua sostanziale estraneità al gusto d’oggi, alla nostra cultura. La ricetta del Timballo – in tutte le possibili varianti che l’accompagnano – è infatti, su una tavola dei nostri giorni, una sorta di reperto storico. Proviene direttamente dalla cultura medievale, dalla cucina di secoli e secoli fa. Una cucina che è “tradizione”, certo, ma una tradizione che ha lasciato pallide tracce di sé, in un contesto radicalmente cambiato.
Una vera mutazione del gusto si è infatti verificata dal Medioevo a oggi. Il gusto “moderno”, sviluppatosi in Francia (e più tardi in Italia) a iniziare dal XVII-XVIII secolo, ha focalizzato l’attenzione sui sapori “naturali” dei prodotti, sulla distinzione dei sapori, assegnando a ciascuno di essi (il dolce e il salato, l’amaro, l’acido…) un posto preciso nel menù e un ruolo prevalente nella vivanda. “Dolce o salato?” è una domanda abituale che sentiamo sui treni ad alta velocità con servizio ristoro. Quella domanda avrebbe forse disorientato i nostri avi. Per un uomo del Medioevo, una vivanda non era dolce “o” salata, bensì dolce “e” salata. Perché quel sistema gastronomico – e le “strutture del gusto” che lo sostenevano – era il frutto di radicate convinzioni dietetiche, che assegnavano a ogni sapore una determinata e diversa caratteristica nutrizionale, e preferivano tenere insieme i sapori, amalgamarli (non distinguerli) per assicurarsi un cibo più completo e salutare. Il Timballo di maccheroni, che racchiude ingredienti salati, acidi e piccanti in una crosta dolce e grassa, è un esempio tipico di questo gusto e di questa cultura. Serbarne il ricordo è interessante, stimolante, suggestivo, come ogni viaggio in paesi lontani. Poi si ritorna a casa, e la prova di MasterChef ne conserva il ricordo.
Il medioevo a MasterChef
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