C’è stato un tempo in cui frutta e verdura si alternavano al ritmo delle stagioni. È vero che la cultura contadina, alla ricerca di certezze e di dispense piene, sapeva vincere la costrizione stagionale seccando i frutti o facendone confetture. Ma tutti sapevano quando nascono le pesche, le albicocche, le fragole. Per questo, mangiare frutti freschi fuori stagione (facendoli venire da regioni lontane) era un gesto eccentrico, fatto apposta per stupire. Quando il 27 novembre 1687 la regina Cristina di Svezia, di passaggio a Mantova, si vide offrire dal cuoco di corte – il bolognese Bartolomeo Stefani – un antipasto di fragole «lavate con vino bianco», rimase certamente sorpresa: non tanto per la composizione di conchiglie zuccherine che contenevano le fragole, inframmezzate da uccellini di marzapane «che dal moto loro sembravano voler beccare dette fraghe», quanto per la presenza stessa di quei frutti, che certo non pensava di trovare in autunno avanzato.

Nel XX secolo, la rottura della stagionalità è stato uno degli aspetti più caratteristici di un nuovo stile alimentare, legato sia allo sviluppo industriale, sia alla rivoluzione dei trasporti, che, annullando le distanze fra i paesi e addirittura fra i continenti, ha cancellato pratiche e saperi consolidati da secoli. La penultima e l’ultima generazione hanno a poco a poco dimenticato quando nasce questo, quando quell’altro. Mangiar fragole a novembre o a Natale, se un tempo era un segnale di prestigio, che rendeva “diversa” la tavola del principe suscitando meraviglia negli ospiti, poi è diventato accessibile a tutti, perdendo, di fatto, l’accezione di lusso – e la capacità di suscitare meraviglia, perché anche la consapevolezza dell’eccezione tende a scomparire, in un mondo che non sa più quando nascono le fragole.

Oggi, la mitologia del chilometro zero ha nuovamente ribaltato la prospettiva culturale. Non spingiamola all’eccesso, perché, in fondo, far “salire” le fragole da regioni in cui crescono prima che da noi non è un peccato mortale. Ma lo sarebbe non sapere da dove vengono, e perché. Riappropriarsi di una cultura non del tutto scomparsa, tornare consapevoli che le fragole, da noi, crescono da maggio a giugno, è un modo intelligente per coniugare le comodità della globalizzazione alla saggezza dei saperi contadini. Magari per scoprire che le fragole appena colte sono più gustose e saporite.

Le feste paesane a ritmo di stagione, dedicate oggi alle fragole, domani alle pesche, dopodomani vedremo, non sono il rimpianto di un passato perduto ma la scommessa su un futuro da inventare, su un rapporto nuovo – che rivive e reinterpreta l’antico – fra l’uomo e la terra. Le fragole a Natale, ormai, hanno fatto il loro tempo. Godiamocele adesso.

Tag: stagionalità, frutta, chilometro zero

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