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Il cibo e il futuro. Pensando all’Expo 2015 a Milano

Molti lettori avranno intercettato i primi spot informativi sul grande appuntamento, non solo eno-gastronomico, dell’Expo di “Milano 2015”.  Fra poco più di un anno l’Italia ospiterà un evento che, per risonanza mondiale, non è esagerato paragonare a una sorta di olimpiade della prevenzione e dello stato dell’arte nel variegato campo della nutrizione e in particolare dell’alimentazione sostenibile per il futuro del pianeta. Come spesso accade il tempo è volato in fretta dalla programmazione all’inizio dei lavori ma è certo che al grandioso appuntamento arriveremo, sia pure con l’immancabile sprint finale, in regola con quanto il mondo si aspetta da un “Paese guida”, come appunto è l’Italia in fatto di tradizioni e innovazioni alimentari.
Ho voluto ricordare, con apparente anticipo, questo evento perché il semestre del 2015 in cui i visitatori di tutto il mondo animeranno i padiglioni potrebbe rinverdire – come già è accaduto con la dieta mediterranea – le nostre tradizioni alimentari adattate alla realtà attuale ma anche alla “sostenibilità” planetaria degli orientamenti alimentari di oltre sei miliardi di abitanti.
Ho accennato più volte che anche l’alimentazione ha le sue responsabilità nello sfruttamento del pianeta e ormai dobbiamo agire e non solo dibattere nei Convegni sulla “sostenibilità” dei modelli nutrizionali che non comportino spreco di acqua e devastazione di territori con insostenibili inquinamenti e costi di trasporto.
Dalle troppe revisioni della “piramide alimentare” siamo arrivati dunque alla “piramide ambientale” che oltre ad assicurare gli equilibri nutrizionali vuole salvaguardare lo spreco di risorse naturali e preservare il destino anche climatico dei nostri eredi.
L’invito è quindi, almeno per noi italiani, di rispettare un patrimonio sperimentato ma anche quello di non chiudersi al progresso se legittimato dalla sicurezza scientifica. Al riguardo, mi piace riproporre un detto di Gustav Mahler estremamente eloquente: “la tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”. Perciò, senza entrare in dettagli (ma l’argomento merita ulteriori approfondimenti) non dovremo trasformarci necessariamente in vegetariani ma dovremo pur sapere che non serve al benessere mangiare carne o pesce più di un paio di volte alla settimana. Il recupero di piatti unici basati su cereali e legumi, con ortaggi e frutta in abbondanza, non sarà l’ennesimo richiamo alla cosiddetta dieta mediterranea ma sempre più un’opportunità conciliatrice fra prevenzione dietetica, gastronomia e impatto ambientale, senza eccessivo rimpianto di una “naturalità” che talvolta è un vincolo perfino pericoloso per la sicurezza igienica o una chimera irrealizzabile per il sostentamento di un pianeta ormai sovraffollato.

febbraio 2014

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