Non sarebbe Carnevale senza martedì grasso… ma perché proprio martedì, e perché lo diciamo “grasso”?

L’aggettivo richiama il calendario alimentare cristiano, che, a iniziare dal IV secolo, impose ai fedeli una dieta “di magro” – senza carne né prodotti animali – il mercoledì e il venerdì di ogni settimana e durante tutta la Quaresima, e poi nelle vigilie delle principali feste e in altri periodi dell’anno. La dieta carnea era detta “di grasso” perché era proprio la carne a fornire il principale apporto di grassi; più era grassa più era pregiata, e più costava al mercato. Scene come quella che a volte capita di vedere oggi nei negozi, “mi dia due etti di carne ma mi raccomando, magra”, nel Medioevo sarebbero state inconcepibili.

Il martedì “grasso” è l’ultimo giorno di Carnevale, prima del mercoledì “delle ceneri” con cui inizia la Quaresima. Una vigilia eccezionale, in cui mangiar carne era quasi d’obbligo, prima della lunga astinenza.

Strana parola, Carnevale: secondo alcuni significherebbe “la carne vale, è importante”, ma l’interpretazione più attendibile è che indichi il giorno in cui “si leva la carne” (carne levare), cioè l’inizio della Quaresima. Poi passò a indicare esattamente il contrario, cioè il periodo precedente la Quaresima, iniziato il giorno di sant’Antonio e dedicato a “far la festa” agli animali. Curioso anche questo: scegliere il giorno di Antonio, protettore del maiale (e per estensione di tutti gli animali) per celebrare l’ammazzamento del porco e degli altri suoi amici che si immolano – con scarsa convinzione, immagino – per il nostro piacere.

Carnevale è anche l’epoca del fritto, grande cult della cucina medievale europea. Tutto si friggeva, dolce e salato. Tutto pareva buonissimo, quando era fritto. Lo assicura anche il proverbio: «Fritta è buona anche una ciabatta». Dall’Europa la frittura conquistò il mondo. In America, dove quel tipo di cottura non esisteva, gli europei portarono maiali, vacche, olivi, ovvero l’occorrente per friggere sempre, con grassi animali (a Carnevale) o vegetali (a Quaresima).

Anche l’Est asiatico si convertì alla frittura imitando i costumi europei. Uno dei piatti giapponesi più conosciuti nel mondo è la tempura, un tipo di fritto in pastella che fu introdotto in Giappone nel XVI secolo dai missionari portoghesi. Vigeva tra i cristiani l’abitudine di osservare i cosiddetti “quattro tempi” (tempora), quattro periodi di astinenza dalla carne che scandivano l’inizio di ogni stagione. Nell’occasione si mangiavano pesce e verdure, spesso fritte in olio secondo l’uso europeo. I giapponesi lo apprezzarono e, col tempo, ne diventarono specialisti. Oggi siamo noi a imitarli: bizzarrie della storia.

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