Cibo è cultura

“Fatto in casa” è meglio. In cucina si torna alle origini

Il pane? Lo facciamo noi. La pasta? Fatta in casa. La birra? Artigianale. Le marmellate? Le verdure dell’orto? Tutta roba nostra.

Ormai, fatto in casaè sinonimo di qualità e di bontà. Il collegamento non sarebbe, a dire il vero, così automatico. Ogni volta che sento dire “fatto in casa” mi verrebbe da chiedere: “in casa di chi?” o “fatto da chi?” o “fatto come?”. Ricordate il famoso “vino del contadino”, che oggi nessuno vuole più? Ma queste sono domande accademiche. Ciò che appare innegabile è la carica positiva, vincente, che l’idea del “fatto in casa” inevitabilmente oggi possiede. Tant’è che le stesse industrie alimentari tentano, con qualche sforzo, di accaparrarsi l’idea e rivenderla sul mercato, giocando su immagini che chiamano in causa la nonna, la zia o altre improbabili garanti di serietà, tradizione, tipicità. Chiediamoci che cosa significhi tutto ciò, sul piano culturale. Direi soprattutto tre cose.

Primo. Il mito della cucina domestica si contrappone a quello, per decenni vincente, del “mangiare fuori” come paradigma di emancipazione. Rispetto all’affermarsi di questo modello, che in Italia vanta una solida tradizione (il padre della cucina italiana moderna, Pellegrino Artusi, propone la cucina di casa come modello ideale di ristorazione), anche i ristoratori devono adeguarsi: “mangiare fuori” piace sempre, ma, paradossalmente, “fuori” si cerca la casa (anche perché, magari, in casa si cucina meno di un tempo).

Secondo. Una crescente domanda di diversità, quasi un contrappasso rispetto all’omologazione indotta dai processi di produzione industriali. La reazione a questa tendenza è stata, negli ultimi decenni, una crescita esponenziale di attenzione alle differenze locali, percepite come elemento-base della cultura gastronomica. E la cucina domestica (il “fatto in casa”) è il regno per eccellenza della diversità.

Terzo. Un’esigenza sempre più forte di conoscenza, di riappropriazione dei saperi che le ultime generazioni avevano in gran parte affidato all’industria alimentare. L’idea della “filiera corta”, che consente di controllare più da vicino i prodotti, i modi di trasformazione e di preparazione, si è fatta strada in modo fortissimo negli ultimi anni e condiziona un nuovo modo di pensare il rapporto col cibo, fatto di consapevolezza e di responsabilità.

Per questi motivi, il “fatto in casa” ha oggi assunto una tale centralità nel “pensiero” alimentare, imponendosi anche come fenomeno di moda, che ha rovesciato i paradigmi di valutazione del cibo. Non sono passati molti anni da quando, di fronte a un bellissimo dolce preparato “con le proprie mani”, ci si poteva aspettare un commento del tipo: “sembra quasi un dolce di pasticceria”. Oggi, i valori si sono invertiti. Sono i biscotti da forno o da pasticceria a voler apparire “fatti in casa”, per avere qualche chance in più di finire sulla nostra tavola.

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