La guerra distrugge le persone, gli affetti, la società, questo lo sappiamo bene da millenni. Ma la guerra distrugge sempre di più anche l’ambiente. Con l’aumento della potenza di fuoco degli ordigni esplosivi convenzionali (e per ora speriamo di scampare a quelli nucleari), spesso trasportati da missili che compiono lunghi tragitti e con l’enorme consumo energetico dei carri armati e dell’aviazione militare, ogni operazione bellica di oggi rappresenta pure un enorme dispendio di materie prime e di energia fossile. La distruzione del territorio, degli edifici e delle infrastrutture fa il resto: macerie che dovranno essere smaltite, nuovo cemento, acciaio e altri preziosi materiali che dovranno essere prodotti per la ricostruzione, nuove emissioni di gas serra.

Così, quando il 24 febbraio mi è giunta la notizia dei primi bombardamenti russi sull’Ucraina, mi son cadute le braccia. Mi son detto: addio transizione ecologica. Da allora l’informazione si è esclusivamente rivolta al conflitto così da offuscare del tutto la pubblicazione della seconda parte del Sesto rapporto IPCC sul clima, avvenuta il 28 febbraio e definita dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres “un compendio della sofferenza umana e un’accusa schiacciante verso l’inefficacia dei leader nella lotta ai cambiamenti climatici”. La crisi ambientale – da sempre sottovalutata e ritenuta marginale rispetto ad altre supposte priorità – è così stata nuovamente sacrificata come irrilevante di fronte ai problemi della difesa.

Ed ecco quindi una nuova minaccia a lungo termine: l’aumento delle spese militari nel mondo. Centinaia di miliardi di dollari che verranno distolti per anni dagli obiettivi ambientali tanto faticosamente entrati nelle agende politiche. Tanta ricerca scientifica che verrà polarizzata su sistemi bellici e non sulla transizione energetica. Forse soltanto la paura di rimanere al freddo e al buio per il taglio delle forniture di gas russo all’Europa muoverà qualche investimento verso le energie rinnovabili, ma se raggiungeremo qualche risultato sarà purtroppo per una causa sbagliata, la chiusura nazionalista dell’autarchia energetica e non certo la condivisione globale della conoscenza e delle risorse per risolvere la crisi ambientale.

Sfruttiamo tuttavia questa crisi energetica di natura bellica per accelerare il passaggio alle fonti rinnovabili: sole, vento e acqua nessuno ce li potrà togliere, più saremo energeticamente indipendenti più saremo liberi, non ricattabili e ambientalmente sostenibili. Avanti, dunque, con l’isolamento termico degli edifici, avanti con i pannelli fotovoltaici sui tetti, ma pure attenti a una nuova sobrietà energetica che fermi gli sprechi e il superfluo.

Il grande ecologo americano Barry Commoner (1917-2012) ha scritto nel suo “Far pace col pianeta”, uscito in Italia nel 1990, che “la sopravvivenza dipende nella stessa misura dal porre fine alla guerra alla natura e alle guerre che combattiamo fra noi. Per fare pace col pianeta, dobbiamo far pace fra noi, fra i popoli che lo abitano”. Gli anni passano, ma noi non impariamo mai.

Tag: pianeta, guerra, energie rinnovabili, ricerca

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