Oggi la chiamiamo biodiversità e le riconosciamo un valore soprattutto ecologico e culturale, da un lato perché la varietà delle specie coltivate, o allevate, o rispettate nella loro naturale molteplicità, aiuta l’ambiente a mantenersi più integro e dinamico; dall’altro perché questa varietà, interagendo con i bisogni e con le abilità degli uomini, ha finito per costituire uno straordinario patrimonio di saperi e di pratiche, che merita di essere conservato. Altre considerazioni si potrebbero aggiungere, per esempio la rilevanza giuridica della biodiversità, dato che la riduzione delle specie rischia di concentrare nelle mani di pochi il controllo delle filiere agroalimentari. La prospettiva storica fa invece emergere il valore della biodiversità come fondamentale strategia economica, sistematicamente perseguita – con finalità diverse – sia dalla società contadina, sia dai ceti dominanti.
Diversificare le risorse è sempre stato uno dei modi più efficaci per combattere la fame e lottare contro gli imprevedibili capricci del tempo. Coltivare piante con ritmi di crescita diversi era una misura di prudenza per proteggersi dalle avversità climatiche, distribuendo i cicli produttivi su diversi periodi dell’anno. Ciò consentiva di allargare, anche di molto, i limiti stagionali della produzione. L’obiettivo era produrre magari poco, ma il più a lungo possibile nel corso dell’anno. Un esempio: nel Medioevo si seminavano cereali di molti tipi (frumento, segale, avena, miglio, spelta, farro, orzo, ecc.) per diversificare i tempi di raccolto e, per così dire, “tirare il tempo”. Lo stesso avveniva negli orti, mentre l’uso del bosco aggiungeva ulteriori dimensioni alla biodiversità alimentare.
Queste pratiche, sviluppate dalla società contadina per difendersi dalla fame, erano anche raccomandate nei manuali di agricoltura (destinati ai proprietari terrieri) e perseguite anche a fini di prestigio e di lusso gastronomico: principi e signori ricercavano ortolani che sapessero rifornire la loro tavola di prodotti sempre nuovi e sempre freschi. Nel Seicento ebbe grande rinomanza Jean de la Quintinye, giardiniere del re di Francia Luigi XIV che si vantava di avere selezionato ben 500 tipi diversi di pere, garantendo la presenza sulla tavola del re di una specie diversa – e di un gusto diverso – tutti i giorni dell’anno.
Virtuosismi alla corte di Francia, abilità e lavoro nei poderi contadini. In ogni caso la biodiversità è stata per secoli una scelta di primaria utilità, sul duplice binario del bisogno e del piacere, esigenze che non appartengono a storie diverse ma, nonostante le apparenze, spesso procedono parallele. Quando le ottuse ragioni del profitto fanno optare per soluzioni diverse, a soffrirne sono, contemporaneamente, il gusto e la sicurezza alimentare.