Dopo aver subito per decenni l’imposizione di impianti industriali catastrofici, l’Italia non sembra più disposta a chinare il capo rispetto alle esigenze produttive. Al punto che sembra davvero difficile mettere in opera anche un solo impianto industriale sul nostro territorio. Negli anni Sessanta i posti più belli delle coste italiane furono sacrificati a un progresso industriale che doveva sembrare improcrastinabile: Marghera, Francavilla, Manfredonia, Brindisi, Taranto, Ragusa-Priolo, Termini Imerese, Porto Torres, Bagnoli, Civitavecchia, Piombino, La Spezia. Un po’ di raffinerie, qualche acciaieria e moltissima chimica. Oggi tutto il comparto industriale è in crisi e i lavoratori si sono ridotti di oltre il 60%, ma il carico inquinante di quelle bombe chimiche è sempre lì, in attesa di essere dissinnescato. Ma è possibile farlo? E con quali costi? Una delle priorità maggiori dell’attuale Ministro dell’Ambiente Orlando dovrà essere quella di recuperare quei territori.
Ma i costi sono elevatissimi, tanto che a Bagnoli i giudici sospettano che ditte appaltanti, amministratori locali e, addirittura, direttori generali del Ministero, fossero coinvolti in una megatruffa che consisteva nel non fare assolutamente nulla per disinquinare, tanto l’obiettivo non sarebbe mai stato raggiunto. E i tempi? Altrettanto importanti, parliamo di decenni. Varrebbe appena la pena di ricordare che a pagare dovrebbero essere i padroni, ma spesso si trattava di impianti a partecipazione statale e, dunque, ecco che paghiamo tutti noi.
Ma oggi sono cambiate le cose? Non ci sono più, per fortuna, pretese industriali sovradimensionate, però la conflittualità locale è aumentata e le popolazioni non sono più disposte a sopportare imposizioni. Molte volte hanno ragione: nuovi impianti di incenerimento dei rifiuti, per esempio, non hanno più quelle giustificazioni che potevano avere anche solo dieci anni fa.
Oggi ci sono tecnologie alternative e soprattutto la raccolta differenziata è molto più avanzata, tanto da rendere plausibili obiettivi come rifiuti-zero. E hanno ragione nel combattere chi continua a puntare sui combustibili fossili maggiormente inquinanti e a pretendere maggiori efficienze e risparmi. E a puntare sulla cogenerazione e sulle energie rinnovabili.
Ma alcune opposizioni non si riescono a comprendere. Una di queste è l’opposizione alla geotermia, gonfiata dalle polemiche sulle trivellazioni, ritenute addirittura responsabili di sismi come quello emiliano dello scorso anno. Intanto questo non è fisicamente possibile, ma, poi, come si fa a opporsi allo sfruttamento del calore del sottosuolo? Purché piova, quell’energia è rinnovabile per sempre, non ci sono emissioni inquinanti e l’impatto paesaggistico è modesto. Eppure dal Monte Amiata a Ferrara insorgono comitati contro l’energia geotermica. È davvero bizzarro che chi si è sciroppato per decenni l’inquinamento delle fonti fossili comunque declinato, e magari usa l’autovettura tutti i giorni, oggi si sollevi contro una forma di energia pulita e rinnovabile. Basterebbe studiare un po’ per fare le distinzioni necessarie.
Dire sì o dire no. Impianti industriali e territori
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