Degustare vini e cibi è un’arte antica, salvo che, per certe epoche, le testimonianze vanno cercate con letture fra le righe o, come ama definirle Carlo Ginzburg, “contropelo”. È il caso del Medioevo europeo, quando la cultura cristiana, nemica dei piaceri della gola, tendeva a reprimere le attenzioni a questo genere di esperienze. E poiché la stragrande maggioranza dei testi medievali nasce nell’ambito monastico o ecclesiastico, potrebbe esserci il rischio di sottostimare l’importanza della cosa, immedesimandosi nel punto di vista dei moralisti cristiani e facendosi l’idea (errata) che certe attenzioni, a quel tempo, non potessero esistere.

Invece, proprio quei testi ci aprono scenari imprevisti. Un opuscolo di Pier Damiani, monaco dell’undicesimo secolo, rigoroso assertore della mortificazione del corpo e dell’astinenza alimentare, raccomanda ai novizi di non ascoltare le sottigliezze della gola, che invita a disquisire sulle differenze di colore o di sapore fra questo e quel vino. E per esemplificare la futilità degli argomenti suggeriti dalla “gola filosofante” (così la chiama) riporta una virtuale discussione tra bevitori: «Questo vino, un leggero brivido di uva Leporina lo rende asprigno; quello è snervato dalla debolezza della Venacorica; quell’altro rosseggia per la Porrotasia; quest’altro biondeggia per l’aureo splendore della Mareotide; di questo si proibisca la raccolta, è andato a male e mi nausea; questo ha ricevuto il battesimo [= è troppo annacquato]; in questo vino certo è presente parecchia uva Aminea, ma la Retica tende quasi a superarla…». Tu, monaco, non occuparti di queste cose. Sono indegne di te.

Lettura “contropelo”: se tutto questo si prescrive di non fare, significa che si faceva. Che esistevano, nella società medievale e anche fra i monaci, conoscitori in grado di distinguere i vitigni di un vino, discuterne la provenienza, valutarne con competenza le qualità: “sperti conoscitori” come quelli ricordati da Piero de’ Crescenzi, agronomo bolognese vissuto fra tredicesimo e quattordicesimo secolo, in una dotta discussione su quando e come vada effettuata la valutazione dei vini.

Ancora i monaci, stavolta quelli dell’abbazia borgognona di Cluny (nella foto), sono oggetto di una feroce polemica da parte di Bernardo di Chiaravalle, loro avversario, fondatore dell’ordine cistercense nel dodicesimo secolo. Egli stigmatizza l’eccessiva attenzione con cui a Cluny si degusta, si annusa, si sceglie il vino migliore: «durante il pranzo potresti vedere la coppa riportata indietro semipiena tre o quattro volte, così che dopo avere odorato, piuttosto che bevuto, vini di qualità diversa, e dopo averli lambiti piuttosto che tracannati, finalmente, con assaggio sagace e rapido riconoscimento, se ne sceglie il migliore e più forte…».

Degustare vini (e cibi) non è un’invenzione moderna.

Tag: degustazione, medioevo

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