Ironicamente, e affettuosamente, li chiamiamo “gastro-toponimi” ovvero nomi di luogo che servono a designare prodotti gastronomici. Oggi ne siamo circondati: sono i “prodotti a denominazione di origine”, a marchio controllato, che garantiscono la provenienza della materia prima, o la localizzazione del processo produttivo, o una qualche forma di radicamento territoriale del prodotto. Queste espressioni significano almeno due cose.

Una più ovvia: il prodotto nasce in un determinato luogo. Una un po’ meno ovvia: il prodotto circola, viene acquistato e consumato altrove. Pensiamoci: se il formaggio “parmigiano-reggiano” lo mangiassero solo a Parma e a Reggio, non si chiamerebbe così; sarebbe “formaggio” e basta. Denominare un prodotto in base al luogo di origine ha senso, ed è utile, solo quando esso abbandona quel luogo.

La frequenza dei gastro-toponimi, dunque, è direttamente proporzionale alla circolazione delle culture locali, attraverso il gioco delle merci, delle idee, delle persone che viaggiano. Non è un sintomo di localismo bensì, al contrario, di movimento. È importante notarlo perché si tratta di una caratteristica originale, e originaria, della cultura italiana.

Fin dal Medioevo il nostro paese è stato particolarmente ricco di prodotti (e ricette) a denominazione di origine, a testimonianza del fatto che prodotti (e ricette) hanno contribuito a costruire una “rete” condivisa di saperi, pratiche, gusti: è stata questa “rete” a mettere insieme l’Italia, ben prima dell’unità politica, come spazio culturale. Così si è costruita l’identità del paese, nel dialogo continuo fra “locale” e “nazionale”. Un dialogo dapprima riservato a pochi, poi, col passare dei secoli, esteso a un numero crescente di persone.

Il meccanismo funziona ancora oggi, anzi si è accentuato perché il cibo è un formidabile segno di identità e, paradossalmente, proprio nell’epoca della globalizzazione il desiderio di valorizzare le culture locali ha raggiunto il massimo di intensità. Ogni luogo ambisce a denominare i suoi prodotti “tipici”, legati alle tradizioni produttive e alimentari del territorio, per ritagliarsi uno spazio di visibilità nel mare del mercato globale.

Il patrimonio che abbiamo ereditato dalla storia sembra avere invertito il suo senso: non sono più i prodotti a diventare riconoscibili attraverso il nome del luogo in cui sono nati, bensì i luoghi a diventare riconoscibili in virtù di un prodotto che è stato valorizzato, riscoperto, talvolta inventato. Chi conosceva il villaggio di Colonnata prima che il suo lardo ne varcasse impetuosamente i confini? Queste contraddizioni riscrivono in modo diverso l’antica storia dei gastro-toponimi.

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