Il termine “sicurezza”, collegato al cibo, può essere declinato in diversi modi: può significare che il cibo è sicuro sul piano igienico, e non ci farà ammalare (gli inglesi la chiamano safety); che la sua disponibilità è assicurata, e non avremo fame (gli inglesi la chiamano security). Altra prospettiva, decisamente inconsueta, è quella di “cucinare in massima sicurezza” cioè fra le sbarre di un carcere. Di questo, alcuni anni fa, si è occupato Matteo Guidi, producendo un piccolo libro di straordinario interesse.

È un ricettario nato in carcere, ideato e scritto con detenuti nelle sezioni di alta sicurezza delle carceri italiane, dove limitazioni e impedimenti escludono un rapporto “normale” con gli oggetti e le tecnologie, dando origine a problemi e difficoltà impensate. Difficoltà che riguardano il reperimento delle risorse ma, prima ancora, gli utensili per trattarle: pensiamo solo a cosa vuol dire lavorare il cibo senza coltelli. Nel mutato contesto, ad acquistare valore sono oggetti semplici che sorprendono per la loro adattabilità a nuovi usi: un manico di scopa che diventa mattarello, i lacci delle scarpe che legano la pancetta messa a stagionare, un televisore che facilita la lievitazione del pane o della pizza, l’armadietto trasformato in forno

In tutto ciò colpisce la genialità con cui si ricercano soluzioni fuori dalla norma proprio per recuperare la “normalità” delle abitudini, dei sapori, dei gusti negati. L’impegno che questi uomini mettono nella realizzazione di obiettivi in apparenza semplici, in realtà estremamente complessi, suscita stupore e ammirazione per l’intelligenza e l’ingegnosità delle strategie escogitate. E davvero capisci quanta cultura e quanto lavoro (due termini che ho sempre amato pensare sinonimi) si accumulino nelle pratiche di cucina. Capisci l’impegno che gli uomini hanno sempre speso a elaborare gestualità e saperi, a inventare e reinventare modi di fare (e prima ancora, di pensare) che poi hanno desiderato condividere e trasmettere.

Fra le non molte cose che veramente distinguono gli uomini fra tutti gli esseri viventi, la cucina è davvero la più significativa ed esclusiva. Perciò è il segno dell’identità umana, di un’appartenenza che ci inorgoglisce e che teniamo sempre a confermare e consolidare, anche nelle condizioni più difficili. “Io nella mia cella faccio il pane!”: questa affermazione di un detenuto, che ha affascinato Matteo Guidi sollecitandolo a intraprendere un percorso di ricerca durato anni, è come il manifesto di una cultura che ci portiamo dietro sempre e ovunque. Ed è bello pensare che il cibo, in qualsiasi situazione, possa aiutarci a vivere meglio.

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