Può capitare di ascoltare in televisione frasi come “se non volete un prodotto che vi faccia alzare la glicemia, o che apporti le calorie degli zuccheri, non fidatevi della scritta senza zuccheri”. Un’affermazione di questo tipo vanifica lo sforzo che tutti i Paesi della Comunità Europea hanno fatto per condividere le basi scientifiche che motivano le scritte riportate sulle confezioni dei prodotti (claim). Oggi, per poter scrivere che un prodotto in cui sia stato usato un dolcificante “induca una minore risposta glicemica”, ovvero causi un minore aumento del glucosio nel sangue, è necessario che rappresentanti del mondo scientifico di tutti i Paesi membri della Comunità Europea si incontrino e condividano il loro patrimonio di conoscenze per poi scrivere un accordo che, sostanzialmente, diventa una legge a tutela dei consumatori.
Uno dei sostituti dello zucchero più utilizzati nell’industria alimentare è il maltitolo, accusato di essere uguale allo zucchero. È falso: vi sono difatti due claim autorizzati sul fatto che induca una minor risposta glicemica e che aiuti a mantenere la mineralizzazione dei denti (al contrario dello zucchero, il cui consumo può essere associato alla carie dentale). Questo non significa che non si debba mantenere alta l’attenzione e vigilare nel tempo, quando questi sostituti vengano consumati frequentemente, perché vi sono effettivamente anche ricerche serie che evidenziano possibili problemi. È da sottolineare come le problematicità siano state riscontrate prevalentemente nei dolcificanti intensivi, differenti ad esempio dal maltitolo, ovvero quelli che hanno poteri dolcificanti molto più elevati dello zucchero: sono difatti tra le 150 e le 600 volte più dolci dello zucchero.
Una recente pubblicazione dell’Organizzazione Mondiali della Sanità ha analizzato gli effetti sulla salute dei più comuni edulcoranti intensivi – spesso presenti nei prodotti senza o a zero zuccheri aggiunti – quali acesulfame k, aspartame, ciclamato, saccarina, stevia e sucralosio, giungendo a conclusioni interessanti. Ad esempio, mentre nel breve termine il loro utilizzo è associato a una riduzione del peso corporeo, studi osservazionali di lungo termine mostrano, paradossalmente, un aumento del rischio di obesità, e anche di diabete e malattie cardiovascolari. Attenzione, tuttavia, all’allarmismo: questi studi necessitano di ulteriori approfondimenti in quanto mostrano correlazioni e non nessi di causalità. Potrebbe essere, ad esempio, che chi usa di più questi prodotti lo faccia per cercare di contrastare un problema di sovrappeso già presente, che sarebbe comunque peggiorato nel tempo come accade normalmente nell’obesità, che è una malattia multifattoriale.
Il consumo durante la gravidanza invece è associato a un possibile effetto sfavorevole dei dolcificanti intensivi sul peso alla nascita e lo sviluppo successivo di sovrappeso. Le motivazioni sono oggetto di studio: una delle linee di ricerca più promettenti riguarda l’interazione tra queste molecole e il microbiota (flora batterica intestinale), con un effetto non utile alla nostra salute. Dunque, come è meglio comportarsi? Un consumo sporadico di dolcificanti intensivi non rappresenta un problema mentre, in via precauzionale, consumi abbondanti e costanti andrebbero evitati, soprattutto in gravidanza.