A fine marzo il Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) ha pubblicato dopo anni di lavoro la sintesi del suo sesto rapporto sul clima destinato ai decisori politici. E poche settimane dopo il Servizio satellitare Copernicus dell’Unione Europea ha diffuso il rapporto sullo stato del clima d’Europa per il 2022 e lo stesso ha fatto l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) con il rapporto sul clima globale. Tre documenti al vertice dell’autorevolezza scientifica e istituzionale che hanno in comune l’elevato livello di preoccupazione di fronte all’urgenza di contrastare la crisi climatica.

Migliaia di dati provenienti da tutto il mondo confermano che il riscaldamento globale, con il suo corteo di eventi estremi, è in atto, e che restano pochi anni per dare una vera svolta alla riduzione delle emissioni di gas serra in modo da evitare lo scenario più rischioso per le giovani generazioni, quello che in mancanza di attuazione dell’Accordo di Parigi porterebbe a circa 5 gradi di aumento termico globale a fine secolo. La maggior frequenza e intensità degli eventi estremi è ben esemplificata dagli episodi di inizio maggio al settentrione d’Italia: da un lato le regioni occidentali – come le campagne dell’Astigiano, Alessandrino e Lomellina – ancora attanagliate da una siccità epocale della durata di oltre un anno, la peggiore da oltre due secoli, dall’altro a soli 200 chilometri di distanza, le province di Bologna e Ravenna sommerse dalle alluvioni per piogge che, in un solo giorno, hanno eguagliato quanto doveva cadere nell’intera primavera. Due casi estremi pressoché contemporanei: o troppa acqua o troppo poca.

Il riscaldamento globale fa proprio questo: amplifica le anomalie. I tre rapporti internazionali sul clima non sembrano tuttavia scuotere la società e i governi perché prendano provvedimenti seri contro le emissioni di gas serra. Si preferisce come sempre affrontare l’emergenza, a costi crescenti, piuttosto che occuparsi di prevenzione. Con il clima è però una strategia perdente, in quanto si supereranno nei prossimi decenni delle soglie di rischio che provocheranno perdite economiche e di vite umane sempre peggiori, e a quel punto non sarà più possibile porvi riparo: il cambiamento sarà diventato irreversibile. Per capire questo concetto pensate all’aumento del livello dei mari: per la fusione dei ghiacciai e l’espansione termica delle acque già ora gli oceani crescono globalmente di 4,5 millimetri all’anno. Sembra poco, ma questo valore aumenterà e quando tra cinquant’anni gli abitanti di Venezia, Rovigo, Ravenna, avranno l’acqua in soggiorno, non si potrà far più nulla: i mari non torneranno da dove sono venuti, toccherà inesorabilmente emigrare. Una sconfitta senza appelli. Ecco perché il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres dice che siamo di fronte a una bomba a orologeria climatica: esistono processi naturali di non ritorno che richiedono una prevenzione urgente alla quale non verrà data una seconda possibilità (e questo lo ha detto il presidente Mattarella).

Ma a tali accorate parole non seguono purtroppo i fatti.

Tag: riscaldamento globale, Clima

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