I problemi ambientali sono scientificamente noti da almeno cinquant’anni. Vengono affrontati politicamente da oltre trent’anni in periodici incontri organizzati dalle Nazioni Unite, come la Cop26 di Glasgow. Se ne parla su giornali, televisione e internet. Premi Nobel – come Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann, insigniti quest’anno del riconoscimento per la fisica, come pionieri nei modelli di simulazione del clima -, e poi studiosi, intellettuali, attori, giovani attivisti e leader religiosi come Papa Francesco, producono continui accorati appelli a rispettare la natura. Eppure, a fronte dell’evidente peggioramento degli indicatori climatici e della deforestazione, estinzione di specie e inquinamento, non solo non si fa abbastanza per ridurre la pressione delle attività umane sull’ambiente, ma sembra che le vane promesse siano l’unico effetto di tutto questo agitarsi, come dice Greta Thunberg, un inutile “bla bla bla”.
C’è una straordinaria sottovalutazione del più grave problema nella storia dell’umanità, sintomo di una sostanziale inefficacia e fallimento della comunicazione “verde” nell’ultimo mezzo secolo. Nessuno fino ad ora vi ha trovato soluzione e così si continua a tergiversare, perdendo tempo prezioso e avvicinandoci pericolosamente all’irreversibilità del collasso della biosfera e del clima terrestre, uno scenario che penalizzerà soprattutto le giovani generazioni. Cosa si dovrebbe fare a questo punto?
Visto che sono gli organismi delle Nazioni Unite come l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’UNEP (United Nations Environment Programme), la FAO (Food and Agriculture Organization) ad essere impegnati da decenni nello studio e nei negoziati internazionali di salvaguardia delle risorse naturali e del clima, converrebbe conferire loro un maggior potere esecutivo. Una sorta di governo mondiale dell’ambiente che era già stato proposto nei primi anni ’70 dal nostro Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma e grande figura d’avanguardia scientifica sul rapporto tra economia e natura. Allora fu etichettato come fautore di un potere globale, oggi gli riconosciamo il merito di aver capito che solo un’autorità al di sopra dei singoli interessi nazionali potrebbe portare gli stanchi e poco efficaci protocolli e accordi sul clima, come prima Kyoto e poi Parigi, da semplici impegni volontari a trattati vincolanti con precisi obiettivi e sanzioni per chi non li rispetta.
La crisi ecologica e climatica è un problema globale e come tale va affrontata, con regole osservate in tutto il mondo, con tempi di realizzazione certi, con meccanismi di controllo severi e risultati verificabili. Se si lascia alla buona volontà dei singoli Paesi il compito di diminuire le emissioni di gas serra, la deforestazione o la pesca, saranno purtroppo gli interessi economici a ostacolare le soluzioni e portare l’Umanità verso un pianeta invivibile. E’ venuto il momento di compiere un salto culturale per garantire un futuro alla nostra specie: o si trova un accordo globale con le leggi di natura, o subiremo le conseguenze dei nostri abusi ambientali.