L’Italia è un bollito misto.
Questa suggestiva immagine ce la regala un cuoco toscano dell’Ottocento, Luigi Bicchierai detto Pennino, oste della Locanda di Ponte a Signa dal 1812 al 1873. Un luogo di gran traffico in riva all’Arno, dove, fra il chiacchiericcio degli avventori locali, transitavano anche persone importanti. Pennino è un personaggio singolare, di cui si parla nelle storie gastronomiche d’Italia perché ci ha lasciato un brogliaccio pieno di appunti e riflessioni su ciò che vede girare attorno a sé e al suo locale. Annota anche delle ricette, molte delle quali riflettono la tradizione locale: minestra di ceci, trippa al sugo, baccalà coi porri, frittata grassa, fagioli al fiasco, braciole di maiale col cavolo nero… Dietro queste ghiottonerie, che lui stesso prepara con l’aiuto di un garzone, la penuria è in agguato: fra le ricette compare un “sugo della miseria” e la “panzanella” è definita “pietanza da poveri”, pur se “gradita anche a’ signori, preti e officiali”. La cucina, luogo della distanza sociale, è anche un modo per accorciarla.
Altre ricette vengono da cuochi di passaggio: uno di questi, astigiano, gli lascia in ricordo una “minestra Savoia” a base di fegatini, ortaggi tritati e un osso di bue. “Minestra Savoia”: il Risorgimento è nell’aria e anche fra gli appunti di Pennino se ne trova traccia. Nel 1849 gli capita di scrivere: “Con tutti questi moti di ribellioni e voglia d’accorpare l’Italia, io che sono oste e poco conosco di quelle faccende, ho pensato all’Italia così divisa, ma che tutti vogliono insieme, e me la figuro come un bel pentolone di bollito: zampa, lingua, carne varie, odori”.
Lui che “poco conosce di quelle faccende”, l’Italia se la immagina così: un bel bollito misto, dove ciascuno porta ciò che ha (o forse, ciò che è). E come ogni bollito che si rispetti, anche questo avrà la sua salsa. Anzi, più d’una: “se l’Italia è un bollito, la bandiera sarà la salsa di condimento, cioè salsa tricolore”. E via con le tre salse patriottiche: per quella verde Pennino trita capperi e un’acciuga, con due foglie di basilico e una “manciatona” di prezzemolo, una fetta di cipolla “e un tantino d’aglio”, un rosso d’uovo, olio e due cucchiai di aceto. Per la salsa bianca usa farina e burro, messi a imbrunire e poi diluiti con un mestolo di brodo e di nuovo del burro, e un po’ di aceto. Per la salsa rossa ovviamente ci vogliono i pomodori, messi a cuocere in casseruola con cipolla, basilico, sedano e prezzemolo; quando si sono ristretti “si setacci il tutto” e il passato si condisca con un cucchiaio d’olio, un pizzico di sale e un “pizzichino” di pepe. “Se poi la si volesse agro-dolce” basterà aggiungere zucchero e aceto: in questa ultima nota Pennino ci svela la persistenza, in un’osteria toscana dell’Ottocento, di gusti che sanno d’antico, o piuttosto di Medioevo (anche l’aceto sul burro, prima, dava a pensarlo).
Ed ecco pronte le tre salse, la bandiera per il bollito italiano.
Massimo Montanari