C’erano una volta il lavoro nei campi, le colonie e poi le villeggiature estive delle famiglie in cui a lavorare era solo il padre, e da giugno a settembre le mogli venivano parcheggiate in una località marina o montana con nonne, sorelle e cugine più grandi. C’erano una volta, per chi rimaneva in città, l’oratorio, il giardino di casa, l’isolato, il parchetto pubblico, il marciapiedi e le madri casalinghe che chiamavano all’ora di cena. C’erano una volta le case di campagna dei nonni.

Le villeggiature, e le case dei nonni, forse per qualcuno ci sono ancora, però la chiusura delle scuole dura sempre tre mesi e chi s’è visto, ci si rivede a settembre. Le colonie estive, sorte in Italia verso la metà Ottocento per i bambini dei ceti meno abbienti, ebbero il loro momento d’oro in epoca fascista e poi nel dopoguerra – finanziate dai Comuni – sono ora scheletri abbandonati – spesso edifici interessantissimi da un punto di vista architettonico, da recuperare – che punteggiano le coste adriatiche e tirreniche, vuoti delle schiere di bambini con i loro costumi tutti uguali nelle foto-ricordo di un tempo che fu.

Ora ci sono centri estivi a pagamento con contributo o agevolazioni comunali o aziendali: piscine, centri sportivi e iniziative delle parrocchie. Ma tredici settimane sono lunghe da coprire. E se anche i piccoli hanno diritto a staccare per un periodo di tempo, occorre ragionare su cosa riempirà quel tempo e come. Un po’ di noia va benissimo, troppa meno. Non a caso spesso di parla di “perdita estiva dell’apprendimento” e non occorre un grande sforzo di immaginazione per capire che favoriti sono solo i più abbienti che possono permettersi, per esempio, di mandare i figli in vacanza-studio, e quelli che possono contare su una rete familiare e amicale coesa. Chi non può e chi non ha, si arrangia. Una settimana qui, una lì.

Alzi la mano chi saluta le vacanze estive di un figlio in età scolare senza nemmeno un attimo di sconforto. Chi si può permettere oggi di fermarsi o quasi per una stagione intera? Quei tre mesi che si stendono davanti a ogni genitore somigliano a un’infinita domenica di novanta giorni in cui si dovranno fare acrobazie e patire sensi di colpa. E ogni anno ci si domanda il perché di questo tempo allentato che non risponde più alle esigenze di quelle che sono oggi le famiglie e al loro tempo di lavoro. Qualcuno prova a sollevare la questione, di tanto in tanto, poi non cambia nulla: gli edifici scolastici in Italia non sono attrezzati per il caldo, e rimodulare il calendario con pause più lunghe durante l’anno e abbreviate d’estate sembra un’impresa impossibile.

Coraggio, dunque, la metà di settembre in un modo o nell’altro arriverà. Intanto, consoliamoci immaginando il giovane Marcel Proust, figlio di benestanti parigini, che (non) si gode la sua villeggiatura nell’immaginaria Balbec, cittadina costiera normanna, con la nonna e la governante, all’ombra delle fanciulle in fiore. Forse, le fanciulle in fiore ci saranno anche in un centro estivo urbano, e i nostri ragazzini le ricorderanno per tutta la vita, e viceversa.

Tag: bambini, scuola, estate, vacanze

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