Bisogna starci attenti, a come si invecchia, e non intendo, banalmente, riferirmi alla cura della propria salute, fisica e morale, che diventa, da una certa età in avanti, un’ossessione, una specie di religione e di fede forse, nella possibilità di divenire immortali. Non è questo il punto dell’invecchiare bene, o almeno non solo. Il punto è che mentre vien meno la presa dei denti e il morso diventa pertanto meno aggressivo, gli occhi perdono diottrie, la spina dorsale si accartoccia su se stessa, l’apparenza della giovinezza è ormai un ricordo e non ci si riesce più a star dietro a tutto come si faceva un tempo. Si arranca tra medici e farmacie dove partono delle mezze pensioni in medicine e integratori mentre nel frattempo il mondo scorre e corre attorno e con quelle diottrie perse e vertebre schiacciate tutto quel che si riesce a pensare riguardo alla giovinezza è il fastidio che provoca quella altrui. Quegli occhioni sognanti, quell’ingenuità, quella tremenda capacità di perdere tempo seduti su una panchina ad ascoltare musica orribile, magari fumando sigarette condite mentre progetti di partecipare alle manifestazioni per l’ambiente. Quelle contraddizioni che, se ben gestite e sostenute, generano lo slancio al cambiamento, producono invece irritazione.
Un po’ di coerenza, suvvia, ragazzi! Non tutti gli adulti in via di diventare vecchi hanno questo sguardo qui, sia chiaro, molti hanno figli, nipoti e cercano di dialogarci, di sostenerli, di comprenderne le abulie e gli slanci, ma l’atteggiamento di molti adulti nei confronti del popolo di un milione e mezzo di giovani di ogni nazionalità che il 27 settembre di quest’anno, dopo le prove generali dello sciopero di marzo, è riuscito a riempire le piazze di tutto il mondo con i Fridays For Future (100 Paesi, dagli Stati Uniti all’Australia passando per India, Kenya, Uganda, Patagonia, tanto per citare posti lontanissimi tra loro, ma uniti da similari preoccupazioni) ha dell’incredibile. La figura iconica della giovane Greta Thunberg, portavoce mondiale del movimento che denuncia l’emergenza climatica e chiede ai Governi di tutto il mondo di impegnarsi per fermare il riscaldamento globale e fare scelte che vadano in direzione non del profitto (soldi, parlate solo di soldi!) ma della preservazione delle risorse naturali e per un’armonia tra impatto umano ed ecologia, si è attirata ogni genere di critica, di insulto e addirittura di sberleffo. Forse, a un certa età, di cosa succederà al mondo dopo di noi, ce ne frega poco e preferiamo sapere i nostri figli e i nostri nipoti col deretano al sicuro su una sedia dentro un’aula scolastica, al calduccio, a studiare le guerre puniche, o incaponirsi su un’equazione piuttosto che immaginarli in strada con la faccia dipinta e gli striscioni verdi azzurri che ci ricordano che, se di piani possibili ce ne son tanti, non esiste un Pianeta B (There’s not planet B). La sfida sul futuro riguarda loro, quelli che hanno meno di vent’anni, e questo è chiaro, ma la richiesta che questi giovani stanno facendo al mondo adulto è importantissima e non può essere dribblata con noncuranza.
Il quarto sciopero globale per il clima è fissato per il 29 novembre, lo slogan è “block the planet” e prevede, come è stato fino ad ora, pratiche non violente di disobbedienza civile. Il tema portante è la rinconversione ecologica, partendo dall’assunto che la giustizia climatica è giustizia sociale. Forse sarebbe il caso di mettersi gli occhiali, raddrizzare schiene e dentiere e accompagnare questi ragazzi nel loro ideale solido di immaginare e costruire un mondo più giusto. L’unico possibile.