Vi avevo già raccontato che guido un’auto elettrica fin dal 2011. Questo per dire che – di fronte al contestato provvedimento europeo di fermare la vendita di veicoli termici entro il 2035 – non è che all’industria fosse mancato il tempo di adeguarsi, visto che i produttori giapponesi già commercializzavano questi veicoli oltre dieci anni fa. È mancata la volontà! E ora, per recuperare il tempo perduto, alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, hanno invocato l’uso degli e-fuels o combustibili sintetici, per prolungare la vita del motore termico cercando di ridurre le emissioni. Ma per valutare i benefici ambientali, le parole che fanno tutto facile non servono, ci vogliono i numeri: la termodinamica ridimensiona le possibilità di queste tecnologie, che più che verdi potremmo chiamare marroni.
Il termine e-fuels deriva da “electric-fuels”, cioè combustibili prodotti da elettricità verde, proveniente da fotovoltaico, eolico o idroelettrico. Con questa elettricità si compie l’elettrolisi dell’acqua e si ottiene idrogeno, che poi viene fatto reagire con del carbonio recuperato da CO2 di scarto di altri processi industriali o estratta direttamente dall’atmosfera. Ecco perché le emissioni sarebbero a zero. Queste trasformazioni sono però – almeno a oggi – poco efficienti e quindi se hai 10 kilowattora di energia solare, alla fine nel serbatoio della macchina te ne restano la metà, o anche meno (dati difficili da reperire e mai dichiarati in chiaro). E siccome pure il motore termico è poco efficiente, con un rendimento dell’ordine del 25%, il risultato finale alla ruota è di forse un kilowattora, cioè il 10% dell’elettricità iniziale. Se avessimo usato subito i 10 kilowattora di elettricità verde in un’auto elettrica avremmo avuto un rendimento alla ruota di circa il 90%. Il problema è dunque quello della coperta troppo corta: per produrre un esubero di elettricità verde da trasformare con un così basso rendimento in carburanti da autotrasporto occorrerebbero superfici enormi tra pannelli solari e pale eoliche (transportenvironment.org).
Altra categoria simile agli e-fuels sono i biocombustibili da colture agricole: anche la fotosintesi ha un basso rendimento (meno dell’1%), quindi per alimentare le auto occorrerebbero immense superfici di coltivazioni in competizione con la produzione alimentare, e c’è il rischio che i consumi di energia fossile di tutta la filiera (trattori, concimi, antiparassitari, raffinazione e trasporto) emettano più CO2 fossile di quella sottratta dal biodiesel o dall’etanolo.
Qualcuno arriva a promettere che viaggeremo solo con biocombustibili ottenuti da scarti agricoli o rifiuti di cucina: vero, se ne possono ottenere e senza sprechi, visto che si tratta di materiali già disponibili da altre lavorazioni, ma il problema è che sono quantità piccole, al massimo ci mandi avanti le ambulanze! Insomma, gli e-fuels andrebbero riservati solo agli aerei, dove al momento non sono disponibili altri mezzi di decarbonizzazione. Quando vi promettono miracoli, chiedete il rendimento finale del processo: quanta energia entra e quanta ne esce!