Sono tempi difficilissimi per l’ambiente nel nostro Paese. La crisi economica ha avuto, in realtà, anche il vantaggio di diminuire le emissioni inquinanti e il consumo delle fonti energetiche tradizionali. Ma i fondi sono stati tagliati e la riconversione ecologica italiana sembra ancora lontana, nonostante le belle realtà delle installazioni (quelle corrette) dell’energia fotovoltaica e i bonus sulle ristrutturazioni e le energie rinnovabili. In questo quadro ci sono alcune priorità di cui il nuovo Ministero per l’Ambiente dovrebbe tener conto anche per marcare una sensata differenza rispetto al passato.
L’Italia è segnata da una ventina di impianti industriali per la produzione dell’acciaio, per la raffinazione e per la produzione di energia che presentano criticità ambientali colpevolmente nascoste o sottaciute per decenni. I nomi li conosciamo bene, dall’Ilva a Manfredonia, da Marghera ad Ancona, a Brindisi, Piombino, Bagnoli. Non ci sono impianti nucleari attivi, ma ci sono ancora quattro siti che devono essere decontaminati. Queste attività andranno necessariamente riconvertite o comunque dovranno dotarsi di standard di sicurezza decenti, ma la bonifica di questi territori è una priorità nazionale che non potrà essere disattesa a lungo. Però i costi sono giganteschi: per una volta sarà possibile che a pagare siano gli inquinatori, spezzando l’infame ricatto occupazione-ambiente che porta solo un incremento delle malattie e dell’inquinamento senza migliorare le condizioni economiche di vita?
Non bastassero queste bombe ecologiche innescate sul territorio, l’Italia è oggi il Paese più costruito d’Europa: solo da noi il consumo di territorio raggiunge cifre incredibli, che portando a centinaia di migliaia gli ettari perduti ogni anno, e fa, di quello che una volta era il giardino d’Europa, una distesa di cemento e abitazioni. In questo caso il danno non è solo paesaggistico, ma anche di incremento del rischio idrogeologico e sismico: si è costruito male anche dove proprio non si doveva. Qui la voce del nuovo Ministero deve farsi sentire forte: in Italia ci sono già abbastanza case e edifici, è ora di dire basta e cominciare a recuperare, ristrutturare e riusare.
Ma la voce del nuovo Ministero si deve risentire anche in altri campi. Il turismo non può continuare a puntare sul mordi e fuggi, come fanno ancora la maggior parte degli operatori nostrani. Si deve invece puntare a far rimanere più a lungo i turisti e a farli tornare, e quei turisti, quelli che ancora possono spendere e viaggiare (quelli nord-europei soprattutto), sono sensibili ai valori di integrità ambientale e naturalistica. Come li garantiamo se i nostri parchi nazionali sono in sofferenza per mancanza di fondi e personale? Qui i tagli esagerati hanno un sapore tafazziano: ora si dovrebbe fare in modo che il paziente non muoia, pure se l’operazione è perfettamente riuscita. Non un compito facile, ma un obiettivo alto.
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