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Amazzonia, una storia che riguarda noi e la sopravvivenza del pianeta

Ottantamila ettari sottratti al dominio delle paludi e riscattati dal lavoro di uomini, donne e bambini deportati in mezzo alle zanzare e alla malaria. Un patrimonio assoluto di ricchezza di vita totalmente stravolto, foreste planiziali prosciugate e uccise, specie animali estinte o comunque scacciate per sempre. Le dune intaccate e spianate, canali artificiali ovunque e pompe idrovore in funzione per decenni. Tutto questo per ottenere, alla fine, “colture trascurate, grano orribile, pieno d’erbacce e nessun contadino che si occupasse davvero del raccolto”. Un insuccesso clamoroso, un danno ambientale senza fine, una perdita per sempre. Ma non siamo nel Sudamerica di oggi: siamo nell’Agro Pontino, Lazio meridionale, negli anni Trenta, e quelle sono le parole di Benito Mussolini, che constata l’insuccesso produttivo. Quella bonifica spaventosa è stata la nostra Amazzonia.

Certo, decenni fa non si poteva conoscere il valore ecosistemico delle aree umide, che oggi vengono conservate gelosamente in  tutto il mondo, né si conosceva il termine biodiversità, inteso come ricchezza della vita con tutti i servizi che gratuitamente fornisce agli umani. E, al di là dei risultati scarsi, di quell’epopea resta la fatica degli uomini, una fatica che avrebbe meglio potuto essere indirizzata verso altri risultati.  Di Amazzonie perdute come quella pontina è disseminato il pianeta, ma una è rimasta, e sarebbe bene conservarla e tutelarla. Salvare l’Amazzonia dalla deforestazione è una garanzia per tutto il pianeta: quest’immensa foresta, estesa per 6,7 milioni di kmq, è un perno del complesso sistema climatico globale, capace di immagazzinare cinque volte le attuali emissioni globali di anidride carbonica. Ma, senza uno stop alla deforestazione, entro 25 anni si sarà superato il punto di non ritorno. Ogni anno sparisce una superficie di foresta Amazzonica pari a circa la metà della superficie dell’Italia.

Come dire che ogni minuto viene distrutta una superficie di foresta amazzonica grande quanto tre campi e mezzo di calcio, e che, nonostante 53 milioni di ettari di foresta amazzonica nel solo Brasile siano protetti, ci vuole uno sforzo maggiore. Bisogna combattere la deforestazione puntando all’ambizioso obiettivo di “zero deforestazione netta”, e proteggere il sistema di acque dolci intervenendo affinché le infrastrutture idrologiche, e in particolare le dighe, adottino criteri di sostenibilità e rispettino le caratteristiche ecologiche del territorio e i diritti delle comunità locali.

La grande foresta Amazzonica ospita il 10% delle specie conosciute, ma, negli ultimi 50 anni, ha perso quasi un quinto della sua superficie, compresi animali e risorse naturali preziose per le popolazioni locali e il pianeta, come la specie simbolo dell’Amazzonia, il giaguaro. I nostri antenati hanno distrutto un patrimonio che solo oggi riconosciamo, comportandosi come gli odierni sfruttatori della foresta amazzonica. Ma almeno non potevano saperlo, noi, invece, che scusa abbiamo?

luglio 2014

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