Dopo più di un anno – e dopo averne davvero sentite di tutti i colori – vale la pena di tentare un sunto di questa prima fase del terremoto che si è conclusa, quella “della tenda”. È una fase inevitabile: sia che ci si trovi nel modernissimo Giappone o nell’antiquato Iran, non si può evitare che qualche mese venga trascorso nelle tendopoli, più o meno confortevoli, messe in piedi dalla Protezione Civile. Questa fase comprende anche gli alloggi di fortuna che molti trovano per proprio conto o il ricovero presso gli alberghi, che nel caso de L’Aquila, riguarda ancora oggi migliaia di persone. Nessun record nel passaggio alla fase successiva, perchè nel caso del terremoto umbro-marchigiano del 1997 ci si mise addirittura di meno (erano coinvolte, però, meno persone). Quella di oggi è comunque la “fase del container”, che dipende strettamente dalla tecnologia costruttiva a disposizione: in Irpinia c’erano ancora i container di latta, gelati d’inverno e roventi d’estate, a L’Aquila ci sono modernissime case prefabbricate di lusso, dotate addirittura di televisori al plasma. Sono sorti così una ventina di nuovi agglomerati che i media nazionali ci hanno propinato come definitivi. Ma nessuna delle famiglie che vive in queste abitazioni rimarrà lì dentro per sempre: tutti vogliono tornare nelle loro case che saranno però ricostruite in non meno di 10 anni. Come a dire che nessuna ricostruzione è ancora cominciata a L’Aquila e ci vorrà ancora un anno solo per mettere in sicurezza il centro storico.
I titoli dei tg e dei giornali hanno più volte data per iniziata una fase, quella del ritorno nelle proprie abitazioni, che è ancora molto di là da venire. Viene poi il sospetto che non sia stato proprio un bene spendere fino a 2.700 euro/mq per queste sistemazioni, quando casette prefabbricate in legno, comunque confortevoli e climatizzate, avrebbero lasciato più soldi per la ricostruzione vera, quella che conta e che così rischia di trovarsi sprovvista di risorse. E che ci si farà con tutti quegli alloggi quando la gente tornerà a casa ? Migliaia di case in più in un paese a crescita quasi zero, perfette da un punto di vista antisismico, ma completamente inutili una volta usciti dall’emergenza, anzi: una zavorra di caseggiati moderni in luoghi bruttissimi.
Mentre le macerie ingombrano ancora il centro storico avanza il sospetto che l’uscita dall’emergenza, a L’Aquila, sia stata soprattutto uno show dimostrativo a beneficio dei mezzi di comunicazione. Si è parlato di record e di miracolo, ma non c’è stato alcun fatto eccezionale, solo una transizione decorosa e la preparazione a una lunga (necessariamente lunga) fase ricostruttiva che inizierà fra qualche mese ancora. Intanto qualche soldo si poteva trovare per ristrutturare quelle case poco lesionate e farvi rientrare gli abitanti. Qualche altro soldo poteva essere speso in assistenza post-catastrofe (sempre difficile da maneggiare). Nulla di tutto questo, solo fanfare roboanti per coprire il silenzio assordante di chi comincia a pensare di essere stato preso in giro.
Mario Tozzi