Ritorno sul tema clima perché l’estate 2019, dopo l’ondata di caldo estremo in Francia a fine giugno, con termometro a 46 gradi, ha mostrato nuove impressionanti anomalie. Intorno al 25 luglio una nuova canicola ha colpito l’Europa: mai si erano misurati 42,6 °C a Parigi e nuovi record nazionali sono stati raggiunti in Belgio, Olanda, Germania. In Groenlandia la temperatura è salita sopra 0 °C anche sulla sommità della calotta glaciale a 3200 metri innescando un eccezionale evento di fusione: nella sola giornata del 1° agosto l’isola artica ha perso 12 miliardi di tonnellate di ghiaccio che si sono aggiunte al totale di quasi 200 miliardi di tonnellate perdute in luglio, quanto basta a far salire i mari globali di mezzo millimetro in appena un mese. Intanto l’estensione della banchisa artica viaggiava ai minimi storici.
Giugno e luglio 2019 nel mondo sono stati i più caldi degli ultimi 150 anni mentre agosto si è collocato in seconda posizione. Dalla Svizzera, all’Austria, al Nord-Est italiano, la stagione estiva è stata la seconda più calda di due secoli (dopo quella storica del 2003), tanto che sulle Alpi l’abbondante neve che persisteva a maggio è completamente fusa mettendo a nudo i ghiacciai. Caldo e siccità hanno facilitato gravi incendi in Siberia e Alaska, mentre dietro ai roghi dell’Amazzonia c’è la volontà di deforestazione, che sotto il governo Bolsonaro nel 2019 ha raggiunto un nuovo primato (6159 chilometri quadrati fino al 31 agosto, pari all’area della provincia di Trento).
Proprio il contrario di quanto serve per potenziare la cattura di CO2 da parte di suoli e foreste, come stabilisce il rapporto speciale Ipcc “Climate Change and Land” diffuso l’8 agosto. Se da un lato ai tropici si tagliano alberi per far spazio a pascoli per produzione di carne, dall’altro la stessa agricoltura sarà sempre più vittima del riscaldamento globale, con perdite di produzione oltre il 50% anche in Italia entro il 2050. Lo dice lo studio “Climate change adaptation in the agriculture sector in Europe”, della European Environment Agency.
L’urgenza di agire per contenere le emissioni appare dunque sempre più evidente, e non è soltanto un fatto tecnologico – più energie rinnovabili, più riciclo dei rifiuti – bensì filosofico e sociologico. Mette cioè in discussione il modello economico dominante che come evidenziato già nel 1972 nel rapporto “I limiti della crescita” del MIT-Club di Roma, non può prevedere una crescita infinita in un mondo finito. Papa Francesco nel 2015 ha ripreso nell’enciclica Laudato Si’ la necessità di una maggior sobrietà negli stili di vita. Il 27 settembre c’è stato il nuovo sciopero mondiale per il clima che ha chiamato i giovani nelle piazze per difendere il loro futuro: è opportuno che al loro fianco ci siano anche gli adulti, che hanno il compito di applicare scelte compatibili con l’ambiente e spingere la politica a un cambiamento di paradigma economico che possa garantire lunga vita all’umanità. L’economista inglese Tim Jackson afferma che è possibile un modello di “prosperità senza crescita”, argomento assolutamente da approfondire. Invece è certo che quello del Pil che deve sempre crescere non è più adatto ai nostri tempi e rischia di portarci al collasso globale.