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Farmaci, un’occasione persa

Farmaci
un'occasione persa

Il mercato è ancora saldamente in mano alle farmacie che ne detengono il 91,8%. E anche il declassamento di circa 220 specialità che potranno essere vendute anche nei canali alternativi, non cambierà le cose: “Così si sblocca un processo di liberalizzazione che nel 2010 ha fatto risparmiare oltre 17 milioni di euro”

I farmaci non sono merce qualsiasi. A partire dal fatto che se si ha bisogno di una medicina è nostro diritto trovarla vicino a casa e a un prezzo che non s’approfitti del nostro stato di bisogno. Obbligatorio anche che a vendercela sia una persona che sappia quel che sta facendo, che sappia cioè consigliarcene l’uso corretto e metterci in guardia contro ipotesi di abuso.
E fin qui, siamo tutti d’accordo. Senonché, sulle regole che stanno dietro al mercato del farmaco – produzione, distribuzione e vendita – si è consumata una delle più aspre battaglie del capitolo liberalizzazioni. Del resto, stiamo parlando di un mercato pari a circa 26 miliardi di euro (dati 2010) di cui oltre il 75% a carico del Servizio sanitario nazionale. I farmaci di automedicazione, cioè quelli che ciascuno di noi può comprare in farmacia o nelle parafarmacie o nei Corner Salute, costituiscono il 7,9% della spesa complessiva, pari a 2 miliardi di euro circa l’anno. Un mercato saldamente in mano alle farmacie, che ne detengono il 91,8%, lasciando alle parafarmacie il 4,7% e ai corner salute della grande distribuzione il 3,5%.
Lo ha rilevato una ricerca intitolata ”La distribuzione dei farmaci in Italia: difesa della salute o difesa delle rendite?” commissionata da Coop Liguria a Gianni Cozzi e Cinzia Panero, ricercatori della Facoltà di economia dell’Università di Genova. Una ricerca che segnala quanto quello dei farmaci sia ancora un mercato protetto, privo o quasi di concorrenza tra canali distributivi. "Nonostante l'apertura del mercato alle parafarmacie e ai corner della grande distribuzione – si legge infatti nella ricerca – nel 2010 la quota di mercato delle farmacie sul totale dei farmaci distribuiti al dettaglio continuava a essere preponderante.
La ragione per cui questo mercato è ancora protetto è la mancata liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C che sono a totale carico dei cittadini. “L’obiezione che viene rivolta a chi vorrebbe vedere introdotta questa misura – spiega Gianni Cozzi, autore delle ricerca – è che la farmacia è un canale in cui operano farmacisti la cui deontologia professionale è garantita dall’iscrizione all’albo. Ma anche nelle parafarmacie e nei corner della grande distribuzione è giustamente obbligatoria la presenza continua di un farmacista. E allora non si vede perché non consentire anche in questi canali la vendita dei farmaci di fascia C, a carico del cittadino, ma con prescrizione medica”. Insomma, se il corner della grande distribuzione ha gli stessi vincoli e obblighi della farmacia tradizionale, perché non consentirgli anche le stesse opportunità? “L’unica apertura nei confronti dei canali alternativi alla farmacia nell’ambito dell’ultima, cosiddetta liberalizzazione, quella del governo Monti è stata la possibilità di vendere farmaci veterinari e preparati galenici”, spiega Vincenzo Santaniello, direttore sviluppo e innovazione di Coop Italia – la cui quota di mercato è talmente bassa che non è neppure misurabile”. Poi c’è stato il delisting, cioè il declassamento di alcuni farmaci di fascia C che, a differenza degli altri, si potranno vendere anche nei canali alternativi. “Stiamo parlando di poco più di 200 prodotti. Quota di mercato sul totale, dal 4 al 6% massimo, ovvero 200 milioni di euro. Per Coop, parliamo di 2 milioni e mezzo al massimo. Si tratta quindi di una misura totalmente inutile, soprattutto dal punto di vista del consumatore che non risparmierà quasi nulla”. 
Invece la prima liberalizzazione consentì effettivamente risparmi abbastanza significativi. “La maggior concorrenza ha portato ad un abbassamento del livello dei prezzi del farmaco in generale, ma in particolare – spiega Santaniello – i corner Coop salute hanno generato un risparmio di circa 11 milioni di euro, rispetto all’acquisto degli stessi prodotti presso una farmacia media, visto che la differenza di prezzo medio tra corner salute e farmacia è del 25% in meno”: Lo conferma anche la ricerca: “Nonostante la rilevanza molto limitata quanto a fatturato e quote di mercato della liberalizzazione dei canali di distribuzione, dei farmaci non soggetti a prescrizione, l’effetto riduttivo dei costi a carico degli utilizzatori finali è stato decisamente consistente”. 
E si tratta solo di sconti sul prodotto finale. “Infatti, con lo sviluppo del farmaco generico a marchio Coop – acido acetilsalicilico e paracetamolo, di cui parliamo anche in un box qui a fianco – abbiamo dimostrato soprattutto che sarebbe il cambiamento strutturale del mercato a far risparmiare il consumatore e nello stesso tempo – continua Santaniello – a rendere comunque possibili alti margini di guadagno. Qualche cifra? Aver preferito al farmaco di marca il generico a marchio Coop, ha permesso al consumatore un risparmio di circa 500mila euro, solo considerando i prezzi degli equivalenti di marca in Coop Salute. Questo dato aumenterebbe notevolmente se considerassimo i prezzi degli stessi prodotti venduti in farmacia”. 
Il farmaco a marchio Coop ha dunque reso concorrenziale il prodotto generico, in un mercato che non sempre lo rende tale. Si tratta di un problema che anche la ricerca dell'Università di Genova rileva, segnalando che – al momento della loro introduzione sul mercato, "i farmaci generici presentavano in Italia una differenza di prezzo rispetto a branded (cioè ai farmaci di marca, ndr) corrispondenti, mediamente di appena il 17,3% contro il 40% degli Stati Uniti, il 26,5% in Germania, il 31% in Gran Bretagna, il 23% in Francia". Ma negli anni successivi – ammette la ricerca "anche in Italia i prezzi massimi dei farmaci generici sono stati significativamente ridotti. In ogni caso in base al monitoraggio (2010) dei differenziali di prezzo dei prodotti offerti nei corner della grande distribuzione rispetto agli omologhi prodotti offerti nelle farmacie, risulterebbero risparmi per i consumatori stimabili in circa 17 milioni di euro (e il dato è riferito esclusivamente alle vendite nei corner Coop e Conad). 
Quella delle parafarmacie e dei corner della grande distribuzione è stata una crescita piuttosto rapida, almeno negli anni immediatamente successivi alla prima liberalizzzazione: a fine 2010, comunque, risultano aperte 2.533 parafarmacie, il 43% nell'Italia sud insulare. 
Distribuzione territoriale opposta, per i corner della grande distribuzione attivati finora dalle quattro grandi organizzazioni della distribuzione organizzata. "L'attivazione dei corner – si legge ancora – è stata rapida: alla fine del 2007 operavano già 162 unità di vendita di questo tipo, che sono poi aumentate progressivamente negli anni successivi (235 nel 2008, 274 nel 2009, 311 nel 2010). E i farmaci da banco non sono in ogni caso la quota maggiore del loro fatturato che proviene ancora dalla vendita di parafarmaci.



Silvia Fabbri

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