Contro la crisi cooperare funziona
Nonostante gli anni difficili che sta vivendo l'economia il modello mutualistico regge meglio degli altri. L'occupazione tiene, ma soprattutto ci sono nuove cooperative che nascono
In Italia aumenta la disoccupazione? Nelle cooperative crescono gli occupati. Diminuiscono i profitti e le aziende private chiudono o delocalizzano? Le cooperative invece sostengono il peso della crisi senza scaricarlo sui lavoratori, sui consumatori e sui territori nei quali operano. Ma soprattutto, pur tra mille difficoltà, in questa lunga notte della crisi, ci sono nuove cooperative che aprono. In parte sono sfide in settori innovativi, pronte a cogliere una domanda in evoluzione. In altri casi far cooperativa è un modo con cui, chi ci lavorava, può salvare o far rinascere un'impresa altrimenti destinata al fallimento.
Certo l’Anno internazionale delle Cooperative, voluto dall'Onu in questo 2012, non poteva coincidere con una crisi peggiore per l’economia mondiale. Eppure mai come ora, di fronte ai disastri di un mercato globale che ha aggravato le diseguaglianze sociali, alimentato nuova disoccupazione, gettato nella povertà strati sempre più ampi di società, risaltano con maggiore evidenza le virtù di un modello imprenditoriale, nato quasi 160 anni fa a Rochdale in Inghilterra, i cui valori fondanti dimorano ancora ben saldi nei comportamenti e nelle finalità sociali delle cooperative di tutto il mondo.
Se le cooperative creano occupazione, ricostituiscono legami sociali spezzati dalla crisi, tutelano la ricchezza collettiva, tendono ad attenuare le diseguaglianze sociali, valorizzano la partecipazione alle scelte economiche, una ragione ci deve pur essere. L’osservatorio migliore per capire come se la passano le cooperative in Italia e cos’è che le rende così coriacee si chiama Coopfond, la società che gestisce il fondo mutualistico per la promozione cooperativa alimentato dal 3 per cento degli utili annuali di tutte le cooperative aderenti a Legacoop.
«Intendiamoci, la crisi c’è eccome – puntualizza il direttore di Coopfond Aldo Soldi –, e le cooperative non sono affatto immunizzate». Infatti, nel bilancio chiuso al 30 settembre 2011 (col quale sono comunque stati messi in moto investimenti per 245 milioni di euro), il numero delle cooperative contribuenti è calato. Questo significa che le cooperative hanno diminuito gli utili, o non sono proprio riuscite a realizzarli.
«Ma questo significa anche un’altra cosa – spiega Soldi –. Questo significa che, per non scaricare i costi della crisi sui lavoratori, sui consumatori e sulle comunità, le cooperative sono in grado di incamerare su di sé parte dei costi della crisi». L’esempio della cooperazione di consumatori che ha assorbito in questi anni una bella fetta dell’aumento del prezzo delle materie prime e tenuto il tasso di inflazione interno molto al di sotto di quello Istat, è il più evidente. Dunque le cooperative reggono il colpo, anche se da un lato le banche (che non erogano finanziamenti) e dall’altro la Pubblica amministrazione (che non paga o paga tardi), danneggiano più del dovuto alcuni settori particolarmente esposti alle turbolenze della crisi.
Eppure sono poche le cooperative che, a causa di questa crisi, si trovano a rischio sopravvivenza. Al contrario, quasi tutte dimostrano di possedere una forte capacità di reazione. La spiegazione? «C’è alla base di questa capacità di resistere agli effetti più devastanti della crisi, una notevole solidità patrimoniale frutto della intergenerazionalità che è stata praticata sul serio e ha fatto sì che le cooperative che negli anni sono riuscite ad accumulare risorse siano solide. Poi c’è anche l'elemento della solidarietà interna che gioca un ruolo fondamentale quando, per superare le difficoltà, i soci-lavoratori arrivano a ridursi gli stipendi. Niente licenziamenti quindi. Limitato ricorso agli ammortizzatori sociali, e soprattutto tanta solidarietà intercooperativa.
Ed è per questo che, mentre molte aziende private licenziano, chiudono, mandano a casa gli operai o trasferiscono all’estero le produzioni, dal 2007 al 2010 le cooperative hanno aumentato il volume della produzione del 12% e gli occupati del 9,3% (che nelle oltre 14 mila cooperative aderenti a Legacoop sono circa 470 mila).
Molti dei quali sono il risultato della nascita di nuove imprese. «Ne abbiamo finanziate parecchie come Coopfond nei diversi settori – riprende Soldi –. Sono cooperative che spesso puntano sull’innovazione e mettono insieme diverse attività come servizi, ricerca, lavoro, dando vita a nuove tipologie di impresa, soprattutto nel settore ambientale e negli spazi liberati da uno Stato che si ritira dal welfare. Poi ci sono le cooperative che nascono dalle crisi di aziende private quando i lavoratori si mettono insieme per salvare produzione e occupazione: negli ultimi due anni sono stati salvati in questo modo circa 500 posti di lavoro. Salvati davvero – precisa Soldi – perché le fabbriche chiudevano e licenziavano. E infine ci sono le cooperative sorte sui terreni confiscati alla mafia che hanno appena formato un Consorzio, sono diventate imprese efficienti e rappresentano un fatto simbolico importante perché coinvolgono molti giovani sul terreno del lavoro, della legalità e dell'imprenditorialità».
Viene da chiedersi quali fattori tipici del "modello cooperativo" potrebbero essere introdotti nel mercato per migliorarlo, renderlo più efficiente, dare impulso alla crescita senza distruggere sistematicamente il lavoro ma creando occupazione e una nuova idea di benessere fondata più sulla qualità delle relazioni sociali che sul possesso di beni individuali, più sulla gratuità dei rapporti che sulla mercificazione di ogni ambito della nostra vita.
«Il fattore fondamentale che il mercato dovrebbe accogliere dentro di sé è l'orizzonte temporale – afferma Soldi –. Una cooperativa non vive solo nel medio periodo e chi la dirige non pensa mai che l’impresa duri quanto dura lui. Questa cultura si porta dietro conseguenze significative sul piano dei comportamenti d’impresa: il fatto di destinare le risorse a beneficio prima di tutto dell’impresa stessa e poi del territorio e dei vari Stake Holder (dipendenti, soci, fornitori, comunità locali, ecc.) determina un modello di impresa che va oltre se stessa e impatta virtuosamente su tutto il contesto economico e sociale. È esportabile questo modo di fare impresa? Sì, non ci sono ragioni che lo impediscano perché l’ampiezza dell'orizzonte temporale è uno di quei fattori che possono connotare la vita di un’impresa e renderla migliore».
Peccato però che negli ultimi dieci anni, non ci sia stata manovra economica che non abbia infierito sulle cooperative sottoponendole sistematicamente ad attacchi sia sul piano politico (riducendone il ruolo a semplice testimonianza ideologica che, se mai in passato ha avuto ragione d’essere, oggi non ha più alcun fondamento), sia sul versante economico (accusandole di ricevere benefici impropri sotto forma di agevolazioni fiscali che, ad oggi sono veramente ridotti ai minimi termini).
Tutto questo mentre le cooperative dimostravano e dimostrano di avere anche una preziosa utilità sociale in quanto sopportano meglio le crisi e, in molti casi, riannodano i fili delle relazioni sociali che minano alla base la coesione del paese. «Il punto allora è superare l'errore che spesso si fa di considerare la cooperativa una forma minore di impresa – sostiene Soldi –. Proclamando il 2012 "Anno internazionale delle cooperative", le Nazioni Unite riconoscono che le cooperative sono tutt’altro che una forma residuale d’impresa, ne sottolineano il ruolo importante per l’economia e il contributo che possono dare al superamento della crisi intervenendo sulle ragioni vere della crisi che sono le diseguaglianze sociali, lo sfruttamento e la speculazione. Bisogna far venire fuori un’idea di cooperazione che non è solo di difesa, ma che è di attacco e di proposta, un altro modo di intendere le relazioni economiche e sociali, quindi il mercato pur standoci dentro e vivendolo».
Aldo Bassoni