Anche per i generici è una corsa a ostacoli
Il principio della sostituibilità del medicinale equivalente è legge in tutto il mondo tranne che in Italia. “Qualcuno crede che siano farmaci di serie B, ma sbaglia: solo il prezzo (e il nome) sono diversi. Principio attivo, dosaggi e biodisponibilità sono del tutto uguali”
“In Italia, purtroppo il farmaco generico è visto come un farmaco di serie B, eppure non è così: è in tutto e per tutto uguale a quello di marca, tant’è vero che viene anche chiamato farmaco equivalente”. Parola di Antonio Clavenna, farmacologo dell’istituto Mario Negri, una delle maggiori istituzioni italiane per le ricerche farmacologiche (nonché il primo indipendente dall’università, dall’industria e dai privati). Eppure – prosegue – “il livello di diffusione del generico è ancora basso, anche se sarebbe un preciso tornaconto del paziente acquistarlo, specie quando lo paga di tasca propria”.
Ma facciamo un po’ di ordine. Che cos’è il farmaco generico (o equivalente)? È un medicinale che, quando il brevetto di un farmaco scade, può essere preparato e venduto anche da altre case farmaceutiche. Per legge deve costare almeno il 20% in meno dell’originale (“ma per molti farmaci si arriva anche al 60%”, spiega Giorgio Foresti, presidente di Assogenerici, associazione di industrie farmaceutiche che producono gli equivalenti). Il generico può chiamarsi con il nome del principio attivo in esso contenuto (ad esempio Diazepam, nel caso di un noto calmante o Paracetamolo, nel caso di un antifebbrile), o chiamarsi con un nome di fantasia come quelli di marca. Per legge, ancora, deve contenere lo stesso principio attivo in eguale quantità e deve essere bioequivalente, cioè avere lo stesso comportamento nell’organismo. Insomma, sono identici ai loro corrispettivi di marca. A parte la scatola, il nome e il prezzo.
Cosa succede oggi quando andiamo dal medico? Il medico di famiglia è tenuto a farci sapere che esiste – rispetto a un principio attivo che ci ha prescritto sia di fascia A che di fascia C – anche il generico (ma non è un obbligo). La stessa cosa prevede la legge per il farmacista. Se tuttavia il medico lo ritiene, può indicare “non sostituibile” accanto al nome del farmaco che ci ha prescritto. In quel caso non abbiamo libertà di scelta, a prescindere dal prezzo, che – nel caso del farmaco di fascia A – è ovviamente a totale carico del SSN. Se invece la prescrizione del medico sul farmaco di fascia A è libera, in farmacia ci viene proposto il generico e noi acquistiamo comunque il farmaco di marca, la differenza di prezzo la sborsiamo noi pazienti. cioè siamo obbligati a pagare perchè è ovvio che, nel caso del farmaco di fascia C, cioè totalmente a carico del paziente, non ci sarebbe ragione per prediligere il medicinale di marca. Perché la spesa è solo nostra.
E allora, perché la diffusione del farmaco generico in Italia è pari al 14% contro l’85% di Usa e Inghilterra, e contro il 65% della Germania? “Nel nostro paese – spiega il farmacologo dell’istituto Mario Negri – la storia dei farmaci generici è cominciata molto tardi, rispetto ad altri paesi. I primi farmaci generici in commercio li abbiamo visti nel 2000. Ma ci sono anche motivi culturali. Da noi manca una reale informazione indipendente. Spesso a veicolarla sono le case farmaceutiche. Tant’è vero che le obiezioni dei medici di base sulla prescrizione dell’equivalente sono le stesse che propagano le case farmaceutiche. Tra queste, che il generico sia meno efficace, cosa assolutamente falsa”.
“I medici di famiglia – aggiunge il presidente di Assogenerici, Foresti – lamentano una mancanza di informazione sul generico. A parte che i loro effetti e la loro affidabilità sono note e arcinote, poichè che si tratta di medicinali prodotti allo scadere dei brevetti industriali, e dunque usati da decenni – uno dei motivi per cui il generico costa meno è proprio questo: non ha costi di marketing e informativi che gravano sul prezzo finale. Inoltre non ha costi di ricerca, perché la ricerca è già stata ampiamente fatta in passato. Ricorrere a un generico, anche a seguito di una sostituzione in farmacia, non fa venir meno in alcun modo la tutela della salute del cittadino”.
A questo punto non resta che farci i conti in tasca e farli al Servizio sanitario nazionale (e si tratta sempre di soldi nostri). “Lo Stato e le Regioni spenderebbero come minimo 3 miliardi di euro in meno ogni anno – spiega Foresti – ed è sorprendente che in tempi di crisi nessuno sembri tenere presente quei 700 milioni che gli italiani hanno speso per pagare la differenza di prezzo tra farmaco di marca e l’equivalente”.
La speranza è che aumenti l’informazione dei cittadini, così che possano diventare soggetti attivi nei percorsi relativi alla propria salute. Ad esempio, imparando a conoscere il nome dei principi attivi che sono contenuti all’interno dei farmaci. “Non c’è dubbio – ammette Clavenna – il problema è educativo e il suo ambito va ben al di là del farmaco generico. Occorrerebbe un’educazione alla salute e alla conoscenza dei farmaci già dai tempi della scuola”.
Ma se in passato il mercato del farmaco generico in media cresceva del 15%, negli ultimi mesi la crescita si è fermata tra il 5 e il 7%. Un dato “preoccupante” secondo Giorgio Foresti. In un momento del genere uno si aspetterebbe un aumento dei generici, “invece la situazione non è rosea, è chiaramente in controtendenza e i dati non sono certo positivi”, spiega Foresti in proposito, sottolineando che il brusco rallentamento del settore dipende “in parte dalla crisi”, che puo’ aver frenato i consumi, ma in buona misura dal decreto liberalizzazioni, “che è stato stravolto rispetto all’impostazione iniziale e che di fatto ha messo in difficoltà lo sviluppo dei farmaci generici”. Eppure, conclude Foresti, “un utilizzo massiccio di questi farmaci produrrebbe innovazione e libererebbe risorse in questo momento molto importanti”.