Mondo Coop

Abbasso l’inflazione, viva il lavoro

Graffito di bambina

Povero lavoro: mentre l’inflazione corre, gli stipendi sono in panne. Tra il 1990 e il 2020, l’Italia è l’unico dei 23 paesi Ocse dove i salari medi sono addirittura diminuiti del 2,9%. Mentre, negli ultimi 2 anni, l’inflazione ha tagliato il potere di acquisto dei consumatori di circa 6.700 euro pro-capite. Così i carrelli sono diventati leggerissimi – meno 3% la variazione delle vendite a prezzi costanti nei primi 7 mesi dell’anno – e solo un italiano su 4 afferma di fare la stessa vita di qualche anno fa. 

Lo certifica il “Rapporto Coop 2023 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” che, come ogni anno, fotografa umori e prospettive di un Belpaese che cerca di affrontare le difficoltà con ottimismo, anche se il disagio economico avanza e i consumi scendono in quantità e qualità. Perfino quelli per la spesa alimentare, finora difesa strenuamente.  

CI VORREBBE UNO STIPENDIO IN PIÙ. «Le difficoltà economiche mordono la carne viva della classe media – sintetizza Albino Russo, direttore generale di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori-Coop) e responsabile della ricerca –. Nei prossimi mesi le intenzioni di spesa dei consumatori vedono una brusca inversione di rotta: sono il 36% quelli che intendono ridurre i consumi e solo l’11% pensano di aumentarli. Scontiamo il peso di un lavoro che, da anni, è povero, tanto che ora solo metà degli italiani può permettersi una spesa imprevista di 2 mila euro. Quando si rompe la macchina o la lavatrice è un problema serio». 

Se infatti nel 2023 c’è un record di occupati (23,5 milioni, mai così tanti dal 2008), c’è anche quello di un lavoro che non paga quanto dovrebbe. Il 70% di chi lavora si ritiene malpagato e dichiara che avrebbe bisogno almeno di un’altra mensilità, aggiuntiva, per condurre una vita dignitosa. 

Il carovita ha trascinato quasi la metà degli italiani (27 milioni di persone, in crescita del 50% rispetto al 2021) in una condizione di disagio duraturo. Cioè, hanno dovuto rinunciare a uno standard di vita ritenuto accettabile in almeno un ambito: cibo, salute, casa, mobilità, tecnologia, socialità e intrattenimento. «Non posso più permettermi neppure…» è la frase che accomuna queste persone. Sono il 10% coloro che dichiarano di non arrivare a fine mese e il 23% se la cava da equilibrista, temendo costantemente di non farcela. In questo contesto, perfino buona parte dei manager (il 68%) si dice favorevole all’introduzione del salario minimo. 

I più penalizzati sono le donne e i giovani. “La generazione Z (18-34 anni) – spiega il Rapporto – vive in una sorta di apartheid in termini retributivi, e non solo”: a parità di inquadramento, un giovane italiano guadagna quasi la metà di chi ha più di 50 anni. “Non stupisce allora se il 40% di loro si immagina di vivere altrove di qui a 2/3 anni e il 20% sta già progettando di farlo”. 

Per rimpinguare il portafoglio si cerca di aggiungere lavoro al lavoro con straordinari, doppi impieghi e lavoretti, che però non riescono a colmare il disagio e tantomeno a costruire il domani. «Si tagliano i viaggi, le cene fuori, la convivialità, lo sport, la cura di sé – sottolinea Russo –, cioè i cosiddetti “beni di cittadinanza”. E si adotta il “presentismo”, rinunciando agli investimenti sul futuro: l’acquisto della casa, l’auto nuova, ma perfino i beni tecnologici e i telefonini, che erano il totem del consumo degli ultimi anni». Si acquistano più modelli usati e ricondizionati, ma in generale è tutta l’economia di seconda mano che tira, complice (per fortuna) anche una maggiore attenzione allo spreco e all’ambiente: 33 milioni di italiani l’anno passato hanno venduto o acquistato beni usati. 

CARRELLI ULTRALEGGERI. Le rinunce continuano nel carrello della spesa, campione di rincari negli ultimi anni. Scendono le quantità acquistate (-3% come si diceva, nei primi 7 mesi di quest’anno), la spesa si fa sempre più di frequente per abbattere gli sprechi, si preferiscono i prodotti a marchio del distributore. A salvare il carrello sono proprio questi ultimi (come i prodotti a marchio Coop), tanto che 8 italiani su 10 ne acquisteranno di più. E avanza il popolo dei discount, anche a scapito della varietà e della qualità dell’alimentazione, visto che un italiano su 5 dichiara di aver perso ogni riferimento identitario abbandonando a tavola i dettami della cultura tradizionale, del territorio, delle tipicità. 

«I redditi sono insufficienti e le famiglie sono impoverite da un’inflazione mai vista – conferma Maura Latini, presidente di Coop Italia –. Ma la soluzione non può essere il discount, cioè un carello semplificato, che rischia di modificare l’assetto produttivo del nostro paese e della sua industria agroalimentare. Il punto è che il lavoro deve tornare a essere un motore chiave dell’economia del paese e bisogna recuperare produttività per cambiare la situazione». 

INQUIETI, MA OTTIMISTI OSTINATI. Il nostro, afferma il Rapporto Coop, è dunque un paese inquieto (il 30% si dichiara tale) e dove crescono i timori (dal 20 al 32%) per le tante emergenze irrisolte in corso: oltre all’inflazione, i venti di guerra, il peso della denatalità e dell’invecchiamento della popolazione, i dubbi sull’intelligenza artificiale, il cambiamento climatico percepito dalla maggioranza della popolazione come una catastrofe imminente. Ma nonostante tutto non si manifestano apertamente – o almeno non ancora – sentimenti di rabbia o rancore sociale. Insieme a inquietudine e timori crescono pure i sentimenti di fiducia (36%), serenità (29%), accettazione (23%) e aspettativa positiva (28%). Gli italiani cercano di far fronte alle difficoltà con coraggio e fantasia, con un “ottimismo ostinato”, lo definisce il Rapporto. 

Lo stesso ottimismo che deve improntare le azioni e le scelte di chi può incidere sulla situazione. «Fare il mestiere che è proprio di un insieme di cooperative di consumatori, cioè tutelare il potere d’acquisto delle famiglie, coniugare prezzi e qualità dell’offerta è sempre più difficile, ma è per noi la sfida da vincere», aggiunge Maura Latini. Per farlo Coop è impegnata su due fronti: recupero dell’efficienza, sia all’interno delle cooperative sia nelle filiere produttive vicine, e ultimare la rivoluzione del prodotto a marchio Coop, garantendo con ciò la sicurezza, l’innovazione, la sostenibilità al giusto prezzo. A due anni di distanza dall’avvio del progetto con 74 categorie revisionate su 114 (quasi il 70%), i primi dati sono positivi: nei primi 8 mesi del 2023 si è raggiunto il 30% delle vendite a valore (+5% agosto 2023 su agosto 2021) e il 34% a volume (+4,0), contenendo così il costo del carrello della spesa.

PIU SOLDI NELLE TASCHE DI CHI LAVORA. «In tutto questo – sottolinea la presidente di Coop Italia – non si è ancora avviato il tavolo negoziale con l’industria di marca per il 2024. Per come la vedo io, c’è la necessità di un confronto serio e costruttivo proprio per dare una risposta a larga parte della popolazione italiana in difficoltà. Come Coop negli ultimi 18 mesi abbiamo trattenuto una parte importante dell’aumento dei listini industriali senza riversarli sui consumatori, ma i bilanci delle nostre cooperative ormai limitano la possibilità di impegni ulteriori, se non nell’ambito di una fattiva collaborazione fra le parti, che peraltro anche le istituzioni stanno chiedendo». 

Anche per Marco Pedroni, presidente Ancc-Coop, c’è bisogno che a cercare soluzioni siano, responsabilmente, tutti: «Abbiamo aderito prima alla carta “Dedicata a te” promossa dal Masaf e ora all’invito del governo, attraverso il Mimit, per una stagione di contrasto all’inflazione, perché è nella nostra natura di cooperative che difendono le persone, soprattutto quelle più in difficoltà. Al governo chiediamo azioni molto concrete, non per noi ma per gli italiani: in primis di mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori, con il taglio del cuneo fiscale e la detassazione degli aumenti salariali; poi di aiutare la parte più debole del paese non solo attraverso la social card per gli indigenti ma anche con l’introduzione del salario minimo. Per farlo bisogna chiamare in causa chi sta meglio. Con un’inflazione che erode più del 15% del potere di acquisto la metà delle famiglie è in difficoltà, la domanda interna è destinata a ridursi e i risparmi non potranno a lungo sostenere un livello significativo dei consumi». È nell’interesse di tutti.   

Tag: inflazione, carovita

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