Per raccontarla ai più piccoli servono storie semplici, di pace, meglio se illustrate, con una premessa di fondo: fino ai 5-6 anni i bambini non hanno il senso della morte, per cui «spiegare loro la guerra è un ossimoro inconcepibile». Lo sottolinea con autorevolezza, tra gli altri, Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, esperto in un campo, come la letteratura per l’infanzia, di grande responsabilità sia per gli autori, sia per i genitori che seguono i propri figli nella crescita.
Come affrontare, dunque, attraverso un libro, temi difficili quali la guerra, la mafia o la pandemia? Bisogna aspettare gli 11-12 anni ‒ dicono gli studiosi ‒ prima che si stabilizzi la corteccia prefrontale del cervello e che cominci ad affermarsi il pensiero razionale. Nei primi anni di vita il bambino, caratterizzato dal pensiero magico, non concepisce che si possa essere ammazzati veramente, cioè non tornare più, se non adottando il filtro del gioco o del videogioco, ovvero sotto metafora. «Il problema, di conseguenza, non è cosa dire, ma come relazionarsi con determinati contenuti», prosegue Novara.
Un’idea precisa l’ha maturata lo scrittore israeliano Etgar Keret, tra i più affermati al mondo in questa particolare branca dell’editoria che negli ultimi anni si è sempre più specializzata. Keret racconta che, sommerso dalle storie di suo padre, quando da 6oo giorni vivevano sottoterra per sfuggire all’Olocausto, gli domandò qual era il filo comune di quelle narrazioni e degli esercizi di fantasia che gli chiedeva, ogni sera, di fare. E la sua risposta fu: «Quando sei in un buco e il mondo attorno a te è terribile, hai bisogno di immaginare che il territorio dove vivi è bello, ricco, creativo. Sappi che se tu puoi immaginare qualcosa, questa cosa, potenzialmente, esiste».
Era come ordinare una pizza, ricorda l’ironico autore, regista e attore ‒ ospite d’onore alla cinquantanovesima Fiera internazionale del libro per bambini e ragazzi di Bologna ‒ tanto era normale affidarsi a quel rito fatto di parole e immagini mentali, per sopravvivere. «Mio padre è stato il Netflix della mia infanzia», ci scherza su Keret, consapevole di avere ereditato la concezione di una narrativa come «laboratorio di esperienze in cui ventilare cose che non esistono nel mondo reale». La fantasia per sopravvivere, per creare una realtà migliore di quella vissuta, e anche per parlare ai propri figli aiutandoli a dipanare questioni complesse come la guerra, la crisi climatica o il fenomeno migratorio. Sta qui l’insegnamento in un’epoca come questa in cui ‒ riassume l’autore di “La notte in cui morirono gli autobus” ‒ «a una catastrofe ne segue un‘altra».
Libri che fanno boom Se mamma e papà leggono, la buona notizia è che lo fanno anche il 77,4% dei minori. La controprova è data dal fatto che tale percentuale scende drasticamente al 35,4% se i genitori non dedicano un minuto ai libri. I più piccoli sono, dunque, fedeli lettori, più del resto della popolazione, ma con forti differenze territoriali che vedono le regioni del Sud meno alfabetizzate. I dati (Openpolis) raccontano ancora che nel 2020, in Italia, oltre il 40% dei minori ha all’attivo fino a 3 libri, e il 13-14% può dirsi un assiduo lettore con almeno un titolo al mese.
Non stupisce perciò che la Fiera di Bologna abbia accolto i tanti operatori del settore, oltre mille da 90 Paesi, in un’esplosione di colori e fantasia attorno a un genere, l’editoria per bambini, che non conosce crisi e (finora) nemmeno confini. All’ingresso dell’expo c’era un libro speciale, stampato in edizione limitata: “The War: the children who will never get to read books” (“La guerra: i bambini che non potranno mai leggere libri”). Molto se n’è parlato per la sua bellezza, ma anche per il crudo realismo delle illustrazioni, firmate dalla giovane ucraina Tetiana Kaliuzhna. Che da noi intervistata risponde: «È difficile essere distaccati da quanto sta avvenendo nel proprio Paese, anche se so che i bambini ne rimarranno spaventati». È la prima volta che li ritrae abbracciati a un orsetto e colpiti alla schiena, o come angeli volati in cielo. Ha scelto questa modalità, priva di abbellimenti e metafore, per illustrare i testi altrettanto drammatici di Masha Serdiuk.
Al di là di libri controversi e non in commercio come questo, il 2021 ha visto il boom per fumetti e storie per bambini, con 24 milioni di copie vendute: il 18,2% in più del 2020.
Letteratura per capire Non c’è solo la guerra, tra gli argomenti di storia e attualità, a reclamare maggior spazio. Per i trent’anni da Capaci e via Amelio, a maggio è uscito un libro per ragazzi, “Le parole contro la mafia”, al quale ha collaborato l’ex giudice Giancarlo Caselli. Sulla vita quotidiana durante il fascismo è fresco di stampa “Un gioco crudele”, di Guido Quarzo. Tuttavia sempre poco si pubblica su temi “brutti e cattivi”, persino nel 2022, considerato l’anno del fumetto, con tutti i principali editori che si sono lanciati nei comics.
È così difficile parlare ai più piccoli di argomenti “di trincea“? «Sì, ci vuole un grande senso di responsabilità», conferma Novara, che ricorda grandi classici che hanno sostenuto lo spirito bellico, come “I ragazzi della via Pál” o “La guerra dei bottoni”, compreso il “Libro Cuore”, al contrario di Pinocchio che è, invece, un libro pacifista.
Per costruire valori positivi che funzioneranno da anticorpi, un domani, alla violenza e alla guerra (da non confondere con il conflitto che, se gestito bene, è a sua volta un valore), altre belle storie le consiglia lo psicologo Luca Mazzucchelli. Che in accordo con Giulia Telli, di www.mammachelibro.it, elenca “Cosa c’è nella mia valigia“, di Chris Naylor-Ballesteros, dai 3 anni in su; “Il muro”, di Giancarlo Macrì e Carolina Zanotti, dai 5 anni; e Gianni Rodari, con “Il cielo è di tutti”, senza età.
Con i più grandicelli, che siano chini su un libro o davanti alla televisione, diventa ancora più utile parlare di guerre ed emergenze umanitarie. Per aiutarli a dominare la paura e a nutrire compassione, Uppa, casa editrice dedicata ai genitori da specialisti dell’infanzia, suggerisce quattro punti: evitare sempre la censura, accogliere il dolore, aiutare a elaborare la paura e, infine, coltivare l’empatia, per trasformare sofferenza e angoscia in impegno e desiderio di giustizia.