Seconda guerra mondiale, dove sono rinchiusi, tra gli altri, alcuni prigionieri coreani, nemici giurati dei nipponici. Carcere duro, nel quale spesso i secondini fanno ricorso alla violenza fisica e sempre a quella psicologica. Ma un giorno viene trovato morto uno dei più feroci carcerieri, Sugiyama Dozan e il direttore della prigione Maeda ordina al giovane Watanabe di condurre le indagini per scoprire il colpevole dell’assassinio. Ci sono solo due indizi, entrambi strani. La bocca del morto è stata cucita, e nelle sue tasche viene trovato un foglietto con una poesia piena di disperazione e di amore.
Nella sua indagine Watabane risale al prigioniero 645, un poeta coreano effettivamente vissuto, Yung Dong-ju e ne viene affascinato, così come ne era stato conquistato il feroce Sugiyama che, incaricato della censura delle lettere che i prigionieri inviavano a casa, lo aveva scoperto, stabilendo con lui un rapporto ambiguo. La poesia acquisisce dunque potere di vita e di morte.
Jung-myung-Lee
La guardia, il poeta e l’investigatore
Sellerio Editore – 388 pagine, 16 euro