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La nuova etichetta europea? L’importante è leggerla!

Scaffali_etichetta.jpgA Dario Dongo, docente universitario, fondatore di www.greatitalianfoodtrade.it (portale in 8 lingue dedicato a promuovere la cultura alimentare italiana nel mondo) e autore dell’ebook “L’Etichetta” (disponibile su www.ilfattoalimentare.it), abbiamo chiesto un giudizio generale sulla nuova normativa europea relativa alle etichette.

“L’elefante ha partorito un topolino. – esordisce Dongo – Nel senso che, dopo dieci anni di lavori preparatori, il legislatore europeo non è stato in grado di andare oltre una lieve revisione della precedente ‘direttiva etichettatura’ e di quella relativa all’etichettatura nutrizionale. Il topolino ha comunque alcune virtù:  anzitutto é definita un’altezza minima dei caratteri delle informazioni obbligatorie in etichetta, così non avremo più bisogno della lente d’ingrandimento per fare la spesa;  viene finalmente fatta luce sulla natura specifica degli oli e grassi vegetali utilizzati. Si svela perciò il diffuso utilizzo di palma, contro il quale abbiamo lanciato una petizione su Change.org (il Fatto Alimentare e Great Italian Food Trade) che in meno di due mesi ha raccolto centomila firme. Vale la pena aggiungere, al proposito, che Coop Italia é stato il primo gruppo a rispondere al nostro appello verso la riformulazione dei prodotti, in ottica di sostenibilità e salute. Infine ma non da ultimo, sono stati fatti alcuni passi avanti sul fronte dell’indicazione d’origine. Così, a partire dal 1° aprile 2015 avremo anche la possibilità di conoscere l’origine (Paese di nascita, allevamento e macellazione) delle carni di origine suina, avicola, ovina e caprina”.

Quali sono i punti critici su cui lavorare per migliorare la normativa attuale?
Bisogna anzitutto riordinare il sistema europeo delle regole, affollato di normative di settore che spesso si sovrappongono a quelle generali. Ci troviamo perciò in un vero ginepraio la cui conoscenza e comprensione da parte dei consumatori, ma anche delle autorità di controllo e degli operatori di settore, é a dir poco problematica.

Per le stesse ragioni, bisogna mettere un freno alla legislazione concorrente dei Paesi membri, i quali grazie al nuovo regolamento possono liberamente aggiungere notizie obbligatorie in etichetta, col duplice effetto di complicare la vita alle piccole imprese e confondere i consumatori. Un esempio per tutti, i simboli nutrizionali in Nord Europa: Svezia Finlandia Norvegia e Danimarca applicano una “serratura verde” su prodotti che rispondano a determinate caratteristiche, l’Olanda usa invece un simbolo dalla forma di “smile” sulla base di criteri diversi, il Regno Unito i semaforini in ragione di algoritmi ulteriori. Se questo é il Mercato interno, siamo fritti!

Anche alla luce dell’evoluzione tecnologica come sarà l’etichetta del futuro?
C’è da sperare che almeno parte delle informazioni potrà venire trasferita su un “databar” leggibile con strumenti ottici disponibili a scaffale, come già avviene da Ikea su alcune merci non alimentari, ovvero con smartphone.  Ciò faciliterebbe la lettura delle notizie davvero essenziali – come la denominazione di vendita, la lista ingredienti, il termine di durabilità, la quantità – e perciò semplificherebbe la vita ai consumatori che non abbiano voglia di perdersi tra mille diciture. Gli standard internazionali sono già avanti e l’Italia è uno dei pionieri in tal senso, grazie a GS1-Italy (Indicod-ECR) che lo scorso anno ha soffiato la 40a candelina sul codice a barre. A livello normativo le premesse ci sono, basterebbe decidere di darvi applicazione con un provvedimento della Commissione europea in accordo con gli Stati membri.

Quanto e come i consumatori davvero leggono le etichette?
Posso soltanto esprimere una sensazione personale che trae spunto dai feedback dei nostri lettori, e dai rapporti con le associazioni dei consumatori. L’impressione è quella che l’attenzione dei consumatori italiani verso le etichette alimentari, e in particolare verso la lista degli ingredienti, sia effettivamente aumentata nel corso degli ultimi anni. Un segno positivo nella direzione del consumo consapevole.

L’etichetta in che misura serve a tutelare il made in Italy?
Purtroppo la nuova etichetta non tutela per nulla il made in Italy, anzi lo confonde deliberatamente con il ‘Made wherever‘. Il governo italiano infatti ha fatto decadere la norma nazionale che già dal 1992 aveva prescritto l’indicazione della sede dello stabilimento sulle etichette dei prodotti italiani. Un vero peccato, anzi peggio.

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